Home ›› Documentazione ›› Archivio Volantini ›› Contratto 2004 libretto

Contratto 2004 libretto

immagini1

Ancora un contratto scadente per i lavoratori della Sanità

Il contratto dei lavoratori della Sanità è scaduto a dicembre del 2001, sta per essere licenziato dopo l’esame della Corte dei Conti.

Come COBAS dei lavoratori della Sanità abbiamo analizzato questo contratto, ne abbiamo messo in evidenza i limiti e gli aspetti inaccettabili e abbiamo ipotizzato un percorso rivendicativo alternativo che, ne siamo convinti, può avere senso compiuto solo se supportato da una ripresa delle lotte che sappiano mettere all’ordine del giorno la difesa della dignità dei lavoratori e la comunanza di interessi con chi con il Sistema Sanitario Nazionale si confronta da “paziente” e che, in ultima analisi, sta pagando direttamente i costi del suo smantellamento attraverso la svendita al privato e alla logica del profitto.

Una lettura critica del contratto

La prima impressione che si potrebbe avere leggendo il nuovo contratto dei lavoratori del comparto Sanità 2002-2005 è quella che i suoi estensori non si stiano rendendo conto dei reali processi che stanno attraversando la gestione del Sistema Sanitario Nazionale.

La concreta convinzione è, invece, che gli uomini di CGIL-CISL-UIL complici che noi riteniamo corresponsabili dello smantellamento della Sanità Pubblica coprano impietosamente la realtà.

Per quanto interessate e opportunistiche siano, le affermazioni del Ministro della Sanità Sirchia sull’inaccettabile deriva economicista che sta dietro lo sfacelo della Sanità Pubblica dovrebbero portare a riflettere seriamente.

La pianificazione dell’entrata massiva del privato nella gestione diretta di settori importanti della sanità pubblica, previsto da numerosi Piani Sanitari Regionali (primo fra tutti quello lombardo) dovrebbe preoccupare non poco…

Ma il contratto di tutto questo pare, ovviamente, disinteressarsi e fare buon viso a cattivo gioco.

Nella piattaforma per il rinnovo del contratto Cgil-Cisl-Uil avevano dato largo spazio invece alla condivisione del principio fondamentale del federalismo, la modifica del titolo V della Costituzione, “strumento indispensabile per avvicinare al territorio le sedi decisionali”, dando un interpretazione di questo passaggio quasi che vivessimo in paese diverso da quello in cui siamo, governato da un Berlusconi “indebitato” fino al collo con i suoi alleati leghisti tronfi della vittoria razzista e classista sulla “devolution”, che porta il nostro paese al delirio consegnando la gestione della Sanità in via esclusiva alle Regioni.

Quasi che vivessimo in un paese diverso da quello in cui viviamo, dove si fa carta straccia dei diritti dei lavoratori attraverso strumenti quali il “Patto per l’Italia”, la legge 30 che legalizza la precarizzazione e incentiva l’esternalizzazione, dove oramai prevale la contrattazione sempre più frammentata sulla legislazione…

Nessun strumento concreto per opporsi invece all’utilizzo massiccio di manodopera “atipica” anche in sanità: CGIL-CISL-UIL si autocandidano al ruolo di “accompagnatori ufficiali” dei processi di esternalizzazione e privatizzazione, si autolegittimano come difensori degli interessi dei “senza diritti” senza nemmeno ipotizzare un percorso di lotta che freni questa inaccettabile situazione.

I sindacalisti di Cgil-Cisl-Uil con quella vena sadomasochista che li contraddistingue hanno definito questo contratto “la madre di tutti i contratti”. Una presa d’atto che sta per iniziare una nuova era – non necessariamente più felice – per la Sanità Pubblica. A partire proprio dai processi di esternalizzazione che interesseranno questo settore. Esiste infatti uno strumento normativo contenuto nelle leggi di riordino del SSN che si chiama sperimentazione gestionale, che consente l’esternalizzazione in prova di servizi, reparti, strutture che potranno essere gestite direttamente, o attraverso società miste, dal privato.

Alcune regioni ed in particolare la Lombardia – che da sempre rappresenta la punta più avanzata di un modello di gestione della sanità che spinge verso la privatizzazione dei servizi – si stanno dotando di strumenti normativi (leggi regionali di organizzazione dei servizi sanitari) che consentono la possibilità di ricorrere allasperimentazione gestionale in modo più ampio. Questo determinerà una modificazione ancora più repentina – tanto più ora con l’avvento della devolution che comporterà 21 Sistemi sanitari regionali – del modello di gestione dei servizi attraverso il ricorso ad uno strumento come la Fondazione, come già accaduto in precedenza con la privatizzazione di tutti gli IRCCS pubblici. La Fondazione non sarà l’unico strumento di questa deregulation sanitaria: attivazione di collaborazioni tra aziende sanitarie pubbliche e soggetti privati; società miste; aziende ospedaliere che, in parte o totalmente, diventano fondazioni; organismi consortili per il risparmio di costi e la competitività fra aziende; associazione in partecipazione con il pubblico che diventa l’associato con l’unico ruolo di controllo ed il privato che, come associante gestisce l’attività sanitaria; esternalizzazioni di tutti i servizi non sanitari, come la manutenzione ordinaria e straordinaria degli edifici ed impianti, le mense per i degenti e per il personale, la pulizia delle strutture, le portinerie, il sevizio unico prenotazioni (CUP), la fornitura e manutenzione delle sale operatorie, della farmacia, dei laboratori, della diagnostica per immagini, tanto per fare esempi concreti. Tutto questo può avvenire fuori bilancio e con contratti di concessione nei quali il privato diventa il finanziatore, l’esecutore e il gestore del servizio che il pubblico concede senza neanche il dovere di controllo.

Per i firmatari del contratto questa sembra una partita persa, una strada obbligata o comunque la presa d’atto che non c’è nessuna possibilità di bloccare il ricorso massiccio ai processi di esternalizzazione. Forse per questo questi signori si sono limitati a predisporre lo strumento per “governare” questi processi. E da bravi sindacalisti quali sono, sono anche convinti che avere scritto nero su bianco che “…ai dipendenti che a seguito di processi di esternalizzazione sono costretti a modificare il rapporto di lavoro si applica il CCNL della Sanità.” Salvo poi aggiungere … finché non arriva il CCNL delle Fondazioni.

E questo cosa significa? Intanto non si può dire – perché sarebbe falso – che non cambia nulla per questi lavoratori. Lavorare sotto una Fondazione vuol dire perdere lo status di dipendente pubblico ed essere sotto un padrone privato, con regole e garanzie differenti. Regole e garanzie che l’applicazione del CCNL della Sanità da solo non è in grado di equiparare. Ci sono infatti molti ospedali privati che applicano – perché gli conviene – il CCNL della Sanità Pubblica ma non per questo i dipendenti possono assumere lo status di dipendenti pubblici. Può darsi che col ricorso massiccio alle privatizzazioni che ipotizziamo questa differenza normativa possa perdere di significato ma fino ad oggi non è così e non sarà così neanche con l’applicazione degli istituti contrattuali dove il Privato fa spesso man bassa dei diritti dei lavoratori.

Questo ragionamento non sta certo a dire che noi vogliamo difendere i diritti di chi lavora nel sistema pubblico contro chi lavora nel privato. Vogliamo che ci sia una equiparazione di strumenti contrattuali ma che questa non sia conseguita con una livellazione verso chi ne ha di meno, ma estendendo garanzie a chi oggi non le ha e non sottraendo diritti – chiamandoli privilegi – a chi da anni è ingiustamente messo alla berlina.

Di fatto con questo rinnovo contrattuale Cgil-Cisl-Uil hanno definitivamente spianato la strada alla privatizzazione dei servizi, in cambio del solito piatto di lenticchie: l’applicazione di questo contratto a chi verrà espulso, che oltre a non essere eterna si annuncia anche foriera di ulteriori divisioni fra lavoratori.

Perché infatti – ammesso e non concesso - che questi lavoratori mantengano tutti i benefici contrattuali del contratto di provenienza, gli altri che verranno assunti dopo di loro avranno un contratto differente e questo non potrà che essere fonte di squilibrio.

Per quanto ci riguarda riteniamo che questa scelta penalizzante sia per il futuro del SSN, che della garanzia stessa di mantenere l’attuale natura pubblica.

Dopo tutte le parole spese ci saremo aspettati che l’argine non si rompesse prima ancora della piena. Non si può non comprendere come oggi la battaglia contro l’esternalizzazione dei servizi rappresenti una conditio sine qua non per difendere i diritti dei lavoratori e insieme quelli degli utenti.

E invece questo contratto sembra togliere le castagne dal fuoco proprio a chi vuole privatizzare e che oggi ha anche lo strumento normativo per andare avanti.

Se pensiamo a quanto blaterare si è fatto sulla difesa del SSN, siamo a chiederci se siamo passati ad una nuova fase di cogestione dello sfascio del Sanità pubblica.

Ci si sarebbe aspettato da un sindacato, che prende atto con qualche decennio di ritardo che anche nel Servizio Sanitario esistono i lavoratori “atipici”, i precari, i senza diritti, i lavoratori di serie B – nelle mense come nelle imprese di pulizie solo per citarne alcuni – che si partisse da qui per una campagna di “regolarizzazione” che restituisse diritti e riconoscimento professionale.

E invece niente di tutto ciò, ci si limita solo a prendere atto che altri lavoratori – oggi garantiti – domani potrebbero non esserlo più andando ad infoltire la schiera del lavoro precario.

Siamo infatti convinti che i processi di esternalizzazione dei servizi servano a ridurre in modo significativo l’incidenza del costo del personale rispetto alla spesa sanitaria a partire dall’applicazione di strumenti di flessibilizzazione come la legge 30, non applicabile invece alla Pubblica Amministrazione.

Siamo quindi ben lontani da quella idea, sventolata nelle assemblee come vittoria del sindacato, di poter considerare questo contratto come una sanatoria delle forme di precariato già esistenti nella sanità pubblica. Queste ci sono e continueranno ad esserci fintanto che i lavoratori non saranno in grado di promuovere nuovi cicli di lotta per far cessare discriminazioni aberranti. Come si fa ad accettare che l’infermiere professionale o l’educatore - che magari ti lavorano a fianco facendo lo stesso tuo lavoro – debbano essere inquadrati ad un livello inferiore e retribuiti con un salario più basso, in quanto dipendenti di cooperativa?

Quello che invece non si dice è che questo contratto discrimina fortemente tra i livelli più bassi e quelli più alti, a partire dagli automatismi. Mentre da un lato si dice che non possono esistere avanzamenti automatici di categoria – ossia che devono essere effettuate le selezioni interne – ad esempio per i passaggi dalla categoria Bs a quella C (infermieri generici e coordinatori tecnici), dall’altro si stabilisce che i dipendenti collocati in categoria D con indennità di coordinamento vengono collocati in categoria Ds in modo automatico. Perché questa differenza? Forse perché non si potevano scontentare più di tanto le caposala che si aspettavano da questo contratto il riconoscimento che era stato loro negato dal biennio economico nel 2001. Questo avrebbe dovuto essere il contratto “delle caposala e degli infermieri generici” dopo che quello precedente era stato quello “degli infermieri professionali e delle assistenti sociali”. La penuria di fondi però non ha consentito di fare le nozze con i ficchi secchi e quindi la prassi scellerata di puntare a rinnovi contrattuali che premiano solo alcune categorie a danno di altre (in particolare degli amministrativi) ha finito per essere applicata solo a metà con un occhio di riguardo verso i nuovi quadri.

A qualche anno di distanza dalla sua applicazione emerge con sempre maggiore evidenza la caratteristica vessatoria del nuovo sistema di inquadramento del personale, che ha dato vita ad un processo di gerarchizzazione che ha toccato tutte le categorie. Questo processo è culminato con l’adozione di meccanismi premiali come l’indennità di coordinamento e le posizioni organizzative.

Non è un mistero per nessuno che questi due meccanismi sono funzionali alle Aziende per costruire una organizzazione gerarchica che dovrebbe sostituire quella giudicata troppo orizzontale e come tale sbilanciata nel suo sistema decisionale.

E’ la cultura stessa delle aziende sanitarie che sta cambiando: centralizzazione dei servizi contro le politiche di decentramento, cancellazione dei lavori di equipe a favore del lavoro individuale e parcellizzato, più facilmente misurabile e controllabile.

Le posizioni organizzative in particolare hanno costituito un vero e proprio meccanismo contrattuale per aggirare la normativa concorsuale che consente alle Amministrazioni di premiare – senza doverne rendere conto – i soggetti a lei più confacenti, con gratifiche economiche di tutto rispetto.

La legalizzazione di una vera e propria forma di padrinato, che permette alle Aziende di sfuggire agli stessi vincoli concorsuali, scegliendo a chi dare e quanto dare, col ricatto costante di poter togliere se non si riga secondo le indicazioni di scuderia. Una scelta che danneggia il diritto collettivo a favore di trattative individuali spesso vergognose.

Chi oggi fra i firmatari di quel contratto urla allo scandalo non lo fa in buona fede: l’abuso di questo istituto era insito nel modo stesso in cui sono state concepite le posizioni organizzative. Tanto più che in molte aziende sono state date con il “Manuale Cencelli” per non scontentare Cgil-Cisl-Uil.

La nostra avversione a questo istituto continua ad essere totale, vuoi perché pesca sia dal fondo riservato alla progressione economica orizzontale sia dai soldi che l’Azienda risparmia con le mancate assunzioni, vuoi perché aggirando la normativa contrattuale inibisce il diritto di tutti dipendenti ad avere la possibilità di fare carriera, per consentire a pochi eletti di accedere a posizioni di privilegio economico per cui non servono titoli o capacità particolari, ma solo grande “coinvolgimento, disponibilità, flessibilità, adattamento” ad eseguire ordini senza alcun atteggiamento critico.

Parte economica

Per consentire un’adeguata valutazione del grado di copertura economica è necessario che col rinnovo contrattuale in realtà ci vengono erogati anche gli aumenti del biennio economico relativi al 2001-1002.

Categoria

Aumento

1/1/2002

Aumento

1/1/2003

Aumento

Tab. totale

A 30,20 33,30 63,50
B 32,70 36,00 68,70
B s 33,90 37,30 71,20
C 37,50 41,20 78,70
D 40,70 44,80 85,50
D s 43,90 48,30 92,20

Come si può vedere l’aumento medio tabellare è di 77.85 € (lordi ovviamente), che rappresenta la quota “sicura” dell’aumento contrattuale.

La somma di 109 € indicata come aumento medio complessivo contrattuale comprende invece anche la quota di salario accessorio che come abbiamo imparato a capire non necessariamente viene dato a tutti e tanto meno in egual proporzione.

La quota comprende infatti il finanziamento dei vari istituti contrattuali e della classificazione del personale (indennità, progressioni orizzontali e verticali, posizioni organizzative, salario di produttività)

Con un aumento salariale a dir poco risibile, sulla scia tracciata dai contratti precedenti, questo contratto non da risposte concrete ai lavoratori, che si trovano a fare i conti con salari sempre più depredati dall’aumento del costo della vita.

Cgil-Cisl-Uil continuano quindi la loro scellerata politica di contenimento salariale, cercando consenso nelle applicazioni aziendali del sistema di sviluppo professionale (per capirci l’aberrante logica delle pagelline di valutazione individuale).

Questo rinnovo è segnato ancora una volta da un vizio originale, quello per l’appunto da cui è nata la politica della “concertazione” salariale, ossia l’accordo sul costo del lavoro del luglio ’93.

Grazie a questo accordo Governo e Confindustria hanno ottenuto un vero e proprio blocco dei salari, tale per cui il massimo incremento consentito è pari al differenziale dell’inflazione programmata.

Con questo sistema si è presto ottenuta una divaricazione tra salari reali e potere d’acquisto, letteralmente disarticolato dal costo della vita che continua a lievitare massicciamente e comunque non in proporzione alla crescita dei salari.

E’ forse paragonabile l’aumento del salario da dici anni a questa parte con la crescita degli affitti, del costo dei servizi, dei trasporti?

Eppure questo vincolo economico, tradotto in obbligo normativo continua a condizionare il futuro dei rinnovi contrattuali, castrati già in partenza della possibilità di rinnovare, adeguare, migliorare clausole contrattuali spesso vecchie di decenni.

La spinta al contenimento salariale creata dalle devastanti politiche di concertazione hanno creato un letterale stravolgimento della struttura del salario.

L’orario di lavoro e la libera professione

Che fine ha fatto la richiesta di riduzione di orario di lavoro, cavallo di battaglia di tutte le ipotesi contrattuali che abbiamo conosciuto fino ad oggi?

Con il nuovo contratto anche i lavoratori a part-time, se del ruolo sanitario, possono essere chiamati a dare prestazioni di pronta disponibilità, seppure con turni ridotti in relazione all’orario svolto, se a tempo parziale orizzontale, o turni per intero nei periodi di servizio, se a tempo parziale verticale.

Si abolisce il divieto allo straordinario che può arrivare ad un massimo di 102 ore annue.

CGIL-CISL-UIL, insieme alla miriade di sigle corporative e “autonome” hanno fatto la scelta di cambiare cavallo e la cosiddetta “attività libero-professionale” diventa la rivendicazione irrinunciabile per questi signori.

Di fatto lo schema su cui continua ad articolarsi la contrattazione può essere così sintetizzato:

  • mantenimento della politica di contenimento salariale e quindi incrementi salariali da fame che rappresentano solo i soldi già erosi dalla busta paga dei lavoratori
  • dilatazione illimitata dell’orario di lavoro per consentire i vari istituti del lavoro supplementare: libera professione, aree a pagamento, legge Sirchia, straordinario programmato.

Questa duplice condizione ha determinato un vero e proprio disastro per i lavoratori della sanità che hanno metabolizzato un assioma di questo tipo “non ci saranno aumenti contrattuali – condizione standard – ma in compenso il salario potrà essere incrementato lavorando di più”.

Quanto di più e fino a dove può arrivare questa dilatazione temporale è impossibile dirlo perché sempre più frequentemente assistiamo a lavoratori che oltre al debito orario contrattuale svolgono altre attività fino quasi a raddoppiare l’orario di lavoro, saltando riposi, ferie.

Il doppio lavoro degli infermieri ormai è cosa nota: lo conferma anche l’indagine dei NAS in Lombardia sulle cooperative che erogano assistenza infermieristica hanno indagato circa 2500 infermieri professionali, dipendenti delle aziende pubbliche, che effettuavano doppio lavoro soprattutto nelle case di riposo.

Con buona pace di chi si lava la coscienza parlando di riduzione dell’orario di lavoro.

Quello che sta accadendo è molto di più di una semplice involuzione del rapporto di lavoro degli operatori della sanità.

E’ la dimostrazione di quanto la trasformazione della sanità, pubblica o privata che sia, incide anche nelle scelte professionali, devastando vite e coscienze, relegando la cura ad una merce e gli operatori a piazzisti dei nuovi supermercati della salute.

Non ci vuole molto a comprendere che gli effetti di queste politiche hanno ricadute devastanti sul fronte della rivendicazioni dei diritti.

Si potrà mai parlare di dotazioni organiche insufficienti quando ci sarà personale che fa a gara per tornare in servizio, rinunciando addirittura alla malattia per non perdere l’incentivo?

E chi contrasterà la scelta dell’Amministrazione di ridurre gli organici e di aumentare i carichi di lavoro?

CGIL-CISL-UIL si sono dichiarati favorevoli ad una idea di libera professione per tutte le figure sanitarie ed in particolare per il personale infermieristico.

A ben analizzare, quello che viene proposto in fin dei conti, è un meccanismo di corruttela legalizzato. Che ha già conseguito risultati in precedenza con il contratto dei medici, ai quali sono stati dati tanti soldi in cambio del silenzio sulle politiche sanitarie e con l’obbligo di turarsi il naso di fronte alle pratiche da adottare.

E di obiettori di coscienza ne abbiamo davvero visto pochi.

Folgorati sulla strada di Damasco dai “valori” dell’Aziendalizzazione oggi i discendenti di Ippocrate si sono lentamente trasformati in manager autodidatti che hanno capito che la borsa si gonfia solo se si riesce a governare il personale, facendolo lavorare in condizioni sempre meno dignitose.

L’organico,

la sua formazione,

l’aggiornamento professionale

Con il tramonto delle “vecchie” piante organiche sostituite dal più flessibile strumento delle dotazioni organiche sono di fatto sparite le assunzioni.

Nel migliore dei casi le assunzioni rimangono per garantire la sostituzione del turn-over (quando le leggi finanziarie non lo bloccano) o a seguito della trasformazione di posti da tempo determinato a tempo indeterminato (molte volte non esplicitamente dichiarati).

Di fatto con lo strumento delle dotazioni organiche previsto dal D.Lgs. 29/93 le Amministrazioni Pubbliche hanno conseguito un risultato che nella pratica le uniforma alle loro corrispettive nel privato: l’eliminazione dell’obbligo a dover assumere.

Infatti con questo strumento l’Amministrazione adegua gli organici ai carichi di lavoro di ogni specifica azienda.

Carichi di lavoro costruiti con metodologie discutibili che non sono oggetto dell’attuale sistema di contrattazione.

Risultato. Carichi di lavoro sconosciuti dai quali con semplici operazioni matematiche si ricavano le dotazioni organiche di riferimento. Queste ultime sono soggette, come è noto, ad azioni per conseguire efficienza che si traducono in abbattimenti a tavolino delle mediane di riferimento costruite a livello regionale dalla rilevazione dei carichi.

Tradotto nella pratica tutto ciò significa che per garantire un identico volume di prestazioni sono necessari meno operatori.

La rincorsa all’aumento dei carichi di lavoro, in quanto prospettiva, è stato uno degli aspetti più massacranti del processo di aziendalizzazione a tutto discapito della qualità dell’assistenza.

In questo senso istituti contrattuali come la produttività collettiva costituiscono l’accettazione pericolosa di un meccanismo di sfruttamento – perché solo così può definirsi un aumento di carico di lavoro senza retribuzione aggiuntiva – che incide pesantemente sulle condizioni e sulla qualità del lavoro.

Qualità del lavoro che, con la più bieca retorica, ci hanno detto, sia passibile di miglioramento costante attraverso un processo di formazione continua.

Formazione che (ci sostengono in questo senso i dati recentemente resi pubblici dall’ISTAT) si è trasformata in un enorme businnes pagato, manco a dirlo dai lavoratori, principalmente da coloro sottoposti ai vincoli della recente normativa sui “crediti formativi ECM”.

Il contratto ora mette a disposizione l’1% del monte salari – 140 milioni di Euro – per garantire la formazione dei lavoratori a carico delle aziende e in orario di lavoro … ma dato il carattere sperimentale della formazione continua in caso di mancato raggiungimento dei crediti nel triennio il dipendente non potrà subire penalizzazioni. Una sorta di compromesso: le aziende non faranno la formazione che devono fare perché ci vogliono troppi soldi e le Regioni hanno i conti in rosso e in compenso i dipendenti potranno non essere penalizzati.

La qualità dell’assistenza può sempre attendere con buona pace di chi è costretto a ricorre alle aziende sanitarie.

La formazione ECM non riguarda però tutto il personale dipendente: agli operatori che ne sono esclusi, vista l’esiguità dei fondi a disposizione, di fatto è stato negato il diritto a formarsi e a riqualificare la loro professionalità.

Il modello contrattuale

Le relazioni sindacali e quelle “pericolose”

Accettando di buon grado la logica federalista, che separa in tre livelli la contrattazione (nazionale, regionale ed aziendale), CGIL-CISL-UIL si candidano ad assumere in prima persona la responsabilità dello smantellamento del Sistema Sanitario Nazionale.

Si fanno complici coscienti di una probabile situazione di divisione e differenziazione delle condizioni dei lavoratori a seconda della Regione dove questi presteranno la loro opera.

Aldilà delle affermazioni di facciata, accettano lo smantellamento della contrattazione nazionale, rivendicano la loro partecipazione, condivisione e responsabilità nel favorire modelli organizzativi funzionali al miglior funzionamento delle aziende, alla valorizzazione professionale del personale.

Nella loro piattaforma contrattuale, senza mezze misure avevano addirittura sostenuto che “l’assetto contrattuale deve basarsi sulla flessibilità del sistema e sulla capacità di cogliere i diversi livelli di produttività, di costruire un legame permanente tra salari e qualità del lavoro e della produttività ..”

Il sindacato si fa imprenditore e cogestore delle attività produttive, si responsabilizza nei confronti del grado di efficienza delle Aziende, si prepara, con questo tornata contrattuale, a fare un ulteriore salto di “qualità” al servizio dell’imprese e del governo.

CHE COSA MANCA IN QUESTO CONTRATTO

Quelli che seguono avrebbero dovuto e potuto essere i punti qualificanti di una piattaforma alternativa: ci limitiamo di seguito ad elencarli per evidenziare quello che a nostro giudizio rappresenta l’aspetto più carente di questo contratto

  • La mancanza di politiche di assunzione correlati a standard di riferimento certi e condivisi.
  • L’impossibilità di contrattare la consistenza delle dotazioni organiche e il carico di lavoro degli addetti.
  • La mancata limitazione di tutte le forme di orario aggiuntivo come politica di effettiva riduzione dell’orario di lavoro e di rispetto della qualità dell’assistenza.
  • L’inadeguatezza degli aumenti contrattuali che non consentono il recupero del potere d’acquisto salariale.
  • La mancanza di esigibilità degli istituti contrattuali, con la previsione di clausole sanzionatorie nei confronti delle Amministrazioni che non lo rispettano.
  • Un adeguato sistema di finanziamento della formazione di tutto il personale e non solo di quello con obbligo formativo (ECM), a carico delle Aziende Sanitarie.
  • Il blocco dei processi di esternalizzazione e garanzie dei lavoratori
  • Democrazia nei luoghi di lavoro, cancellando le forme di discriminazione oggi esistenti, che in molti luoghi di lavoro limitano l’azione sindacale dei sindacati non concertativi. A partire proprio dalla costituzione dei comitati paritetici: pari opportunità e mobbing, dove Cgil-Cisl-Uil si sono riservate il diritto di essere gli unici rappresentanti dei lavoratori.

La contrattazione sulle dotazioni organiche

Se non si persegue questo obiettivo qualsiasi contrattazione, qualsiasi CIA, risulterà insufficiente ad affrontare le problematiche importanti della sanità. Che cosa vuol dire in alternativa riservare al grave problema dell’insufficienza generalizzata degli organici l’unico strumento della concertazione? Vuol dire DAREMO MANO LIBERA alle Amministrazioni e ai processi di ristrutturazione in corso. Vuol dire consentire l’aumento selvaggio dei carichi di lavoro a tutto discapito dell’assunzione di nuovi lavoratori. Ma vuol significare anche merce di scambio con la dilatazione dell’orario di lavoro: o non è forse vero che la libera professione servirà a coprire sempre di più la normale attività di servizio?

Limitazioni dell’orario aggiunto

Noi continueremo a batterci contro l’aumento selvaggio dell’orario di lavoro dicendo che

questo non deve essere l’unico e perverso strumento di integrazione salariale. Restiamo convinti che l’integrazione salariale va raggiunta con gli aumenti contrattuali SENZA DEBITO ORARIO AGGIUNTIVO. Il risultato più evidente è la trasformazione di molti operatori in esseri asociali, senza più tempo per le relazioni esterne, disponibili a qualsiasi richiesta, in qualsiasi momento. I nuovi schiavi della prestazione dunque. Finché regge aggiungiamo.

Finché i cittadini tollereranno che a curarli possano essere soggetti caricati a molle per reggere questi livelli di stress psico-fisico. Finché non si combina qualche errore – e quando si è stressati capita – che ti porta a capire i risultati di questo modo di gestire la salute sulle panche di un tribunale. Se è vero come noi crediamo che la salute non è una merce allora riteniamo che il primo passo per salvaguardarne la sua importanza sia proprio nel limitare la possibilità che ci siano lavoratori che possano operare – con la benedizione contrattuale – senza lucidità e stressati per il sur lavoro. Bloccare questa perenne forma di ricatto verso i lavoratori che hanno stipendi inadeguati è una condizione di civiltà prima di tutto.

Recupero del potere di acquisto salariale

Noi siamo convinti che quello che ha spinto i lavoratori in questo vortice sia appunto l’inadeguatezza salariale.

Una inadeguatezza misurabile anche nel riscontro con i livelli salariali europei e con la rete di servizi a cui fanno riferimento. Parlare di aumenti contrattuali legati al differenziale di inflazione programmata significa non parlarne. Questo deve essere chiaro! Oggi si può parlare di aumenti solo se in una qualche misura, si riesce a recuperare potere d’acquisto per i salari. Vuol dire in primis non consumare il furto ai danni del TFR che appartiene ai lavoratori, in previsione dello scippo sulle pensioni. Vuol dire non chiedere ai lavoratori di non farsi la “sanità integrativa” come è successo nel CCNL chimici perché la sanità pubblica siamo e saremo in grado di difenderla. Vuol dire pensare un contratto fuori dagli schemi dei contratti che lo hanno preceduto, a partire da quello tanto strombazzato dei ministeriali.

L’esigibilità degli istituti contrattuali

Qualsiasi forma di contrattazione deve contemperare forme di esigibilità. Da quando siamo passati dalla contrattazione di diritto pubblico a quella privata questa esigibilità è andata complessivamente perduta. A tutto vantaggio delle Amministrazioni ovviamente. I contratti recepiti con legge (DPR 270/87 – DPR 384/90) rappresentavano per le Amministrazioni dei grossi elementi di rigidità, perché anche il singolo lavoratore poteva, tramite il ricorso alla magistratura, ottenere il rispetto di quanto contrattualmente previsto, proprio in quanto legge. La piena contrattualizzazione del rapporto di lavoro, ossia la trasformazione in contratto di diritto privato, ha significato per i dipendenti della Sanità, l’impossibilità di esigere ex legge l’applicazione di istituti contrattuali.

Crediamo in quest’ottica che sia importante non solo avere una piena contrattazione sulla consistenza delle dotazioni organiche e sui carichi di lavoro, ma la necessità di rendere pienamente esigibile le condizioni pattuite.

Finanziamento della formazione

Per questo istituto valgono ovviamente le considerazioni svolte in precedenza. Noi crediamo che sia necessario sganciare la formazione da qualsiasi percorso meritocratico, considerandolo un indispensabile strumento di crescita professionale per tutti i lavoratori. Rifiutiamo la logica di chi ritiene che il diritto alla formazione sia restringibile solo a chi ha l’obbligo di formazione (ECM).

Crediamo che il finanziamento della formazione sia uno strumento fondamentale per la qualificazione dell’assistenza.

Riteniamo indispensabile in quest’ottica che le risorse messe a disposizione dalle Aziende devono essere tali da soddisfare il fabbisogno formativo di tutti i lavoratori. Non siamo disponibili ad accettare che i lavoratori siano costretti a farsi taglieggiare per ottenere quei crediti formativi che necessitano per l’espletamento dell’attività.

Ovviamente ci riferiamo a percorsi formativi di qualità e non a quelle pagliacciate organizzate da Società scientifiche di comodo o da Fondazioni compiacenti.

Riteniamo indispensabile in questa ottica un sistema di rilevazione adeguato (elaborazioni di questionari, verifiche sulla qualità offerta) del fabbisogno formativo in ogni singola struttura, servizio o reparto che deve essere rapportato con le reali esigenze e con le problematiche assistenziali.

Esprimiamo la nostra contrarietà a percorsi formativi strutturati sulla competitività fra singoli, mentre siamo favorevoli a sperimentare forme di lavoro di équipe, che rimane lo strumento più adeguato per garantire la continuità e l’appropriatezza terapeutica.

Un piano di formazione che non abbia queste caratteristiche e che venga formulato senza il diretto coinvolgimento dei lavoratori non è solo l’ennesima elaborazione dall’alto ma la creazione di uno strumento di discriminazione utile solo a promuovere logiche aziendali spesso orientate alla privatizzazione dell’assistenza.

La formazione obbligatoria deve essere sganciata dalla filosofia meritocratica delle pagelline e deve promuovere come elemento indispensabile della nostra professionalità il bisogno/desiderio di lavorare dignitosamente per una sanità pubblica, qualificata, efficace e rispondente alle richieste dell’utenza.

In questo senso consideriamo che la formazione debba diventare uno strumento fondamentale per garantire l’umanizzazione dell’assistenza.

Rifiuto dei processi di esternalizzazione e garanzie dei lavoratori

Siamo convinti che il rifiuto dei processi di esternalizzazione sia un elemento centrale per la difesa del Sistema Sanitario Pubblico. Piccoli o grandi che siano le privatizzazioni esse contengono un elemento di pericolosità potenziale perché indicano una strada di non ritorno verso un modello di privatizzazione dei servizi. A partire da quella che deve diventare una battaglia costante contro l’estensione delle forme di precarizzazione presenti da svariato tempo nella sanità pubblica.

L’opposizione alla legge 30 e alla sua estensione anche alla pubblica amministrazione seppure in forma indiretta a seguito delle esternalizzazioni diventa un elemento centrale nella lotta imprescindibile per l’equità salariale e per cancellare la discriminazione nei luoghi di lavoro.

Se è vero che il contratto dei lavoratori interinali prevede che al lavoratore debba essere applicato il CCNL previsto per il luogo di lavoro in cui opera, noi dobbiamo richiedere - e se del caso predisporre anche vertenze legali - che anche ai lavoratori delle cooperative sociali venga riconosciuto questo diritto contro la miseria dei contratti applicati.

Lo stesso criterio dovrebbe essere utilizzato anche nei confronti dei lavoratori delle imprese di pulizie spesso chiamati a fare da tappabuchi in una organizzazione sanitaria sempre più deficitaria, trasformandosi per l’occasione in ausiliari, OTA … e persino infermieri.

Democrazia nei luoghi di lavoro

Esiste ancora oggi una grossa discriminazione in materia di diritti sindacali che non solo questo contratto non sana ma che tende ulteriormente a riacutizzare. Un esempio chiaro è rappresentato proprio dalla gestione dei Comitati Paritetici su MOBBING e Pari Opportunità.

I firmatari di questo contratto da un lato accettano di farci lavorare sotto organico e mal pagati, ad essere flessibili come il bambù e ad essere sempre più precari, a contrapporci l’un l’altro nella speranza di conquistare un incentivo od una promozione, a ignorare le richieste ed i bisogni degli utenti…ma parlano di “lotta a qualsiasi forma di violenza morale e psichica” attuata dal datore di lavoro (o da altri dipendenti) contro i lavoratori!

Istituiscono a “nostra difesa” un Comitato Paritetico composto ad uso esclusivo proprio da coloro che sono gli ispiratori oggettivi e la causa di questo mobbing … ovvero con i soli sindacati firmatari di contratto ed i rappresentanti dell’Azienda… e non hanno alcun pudore ad escludere gli altri rappresentanti dei lavoratori eletti nelle liste RSU.

Chissà se questi signori si ricordano che su questa tematica interviene anche il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) e che questo è – per volontà del legislatore (art. 19 D.lgs. 626/94) - l’espressione di tutti i lavoratori non solo di quelli firmatari di contratto.

Il Comitato ha il compito di raccogliere dati (qualitativi e quantitativi) sul mobbing, individuarne le cause con particolare attenzione alle condizioni di lavoro ed a fattori organizzativi che lo possono determinare, formulare proposte e reprimere situazioni di criticità, avanzare suggerimenti per codici di condotta.

Come dire a chi annulla quotidianamente la nostra dignità umana e professionale di combattere se stesso eliminando le cause di ciò che è funzionale al suo profitto ed alla sua organizzazione.

Vengono organizzati “sportelli di ascolto” e istituita la figura del consigliere/a di fiducia, che ovviamente può essere indicata dai soli sindacati firmatari del contratto.

Leggendo però con attenzione tutto l’articolo 5, si capisce che il vero obiettivo che si propongono di perseguire, anche attraverso la formazione, è quello di “incentivare il recupero della motivazione e dell’affezione all’ambiente lavorativo” che, come dicono più esplicitamente le norme disciplinari, deve essere difeso ad oltranza, poiché l’unico e principale interesse del lavoratore deve essere l’Azienda.

Come COBAS siamo convinti che la lotta al mobbing possa essere fatta imponendo ai dirigenti codici di comportamento improntati al rispetto dei diritti dei lavoratori in luogo dell’arroganza con cui vengono attribuiti normalmente gli incarichi e i compiti da eseguire, prevedendo anche sanzioni per queste figure quando non rispettano la dignità dei dipendenti. Non può esistere lotta al mobbing se non si consente ai lavoratori di esprimere liberamente le paure, le ansie, generate dalle angherie e dalle vessazioni subite da capi e capetti.

Consideriamo in questa ottica indispensabile l’eliminazione reale di tutte le condizioni fisiche e psichiche che determinano lo “star male” e il “lavorare male”.

Non sono contenitori vuoti, come il Comitato per il mobbing o quello di pari opportunità, privi cioè di un efficace strumento di risoluzione dei problemi, che possono risolvere il problema delle discriminazioni aziendali. Questi servono solo a tacitare l’anima pia del sindacato, quella che non riesce a conseguire condizioni di lavoro dignitose - che non producono quindi sofferenza - e che si limitano a proporre ai lavoratori l’utilizzo di un moderno confessionale aziendale per dolersi degli abusi.

Naturalmente è meglio che di queste doglianze siano a conoscenza solo quelli che le sanno amministrare con opportunità ... In mano ad altri soggetti potrebbe non esserci la stessa attenzione è questa è cosa poco conveniente.

Certo avrebbe poco senso fermare la nostra attenzione alla mancanza di democrazia di questi 2 istituti contrattuali quando l’intero sistema di garanzie è fortemente sbilanciato a favore dei firmatari del contratto.

Noi rivendichiamo un sistema di diritti totalmente differente, a partire dal ruolo mortificante da un punto di vista contrattuale attualmente assegnato alle RSU, chiamate unicamente a regolamentare le briciole di contratti nati per svendere diritti.

In questo senso la nostra lotta se da un lato è per un soggetto contrattuale unico con pieni poteri, dove tutti i delegati stanno con pari dignità senza l’ingerenza di quei “tutori firmatari” creati per mettere sotto controllo le RSU e le sue rivendicazioni, dall’altro, in nome di una reale democrazia in tutti i luoghi di lavoro, non può prescindere dalla richiesta di pari diritti per tutte le organizzazioni sindacali presenti.

Continuiamo a stupirci del fatto che oggi per decidere la rappresentanza nei luoghi di lavoro non si possa utilizzare regole democratiche almeno pari a quelle che regolano il voto nelle elezioni politiche o amministrative che siano. In sostanza non capiamo perché non è possibile presentare le liste nazionalmente ma bisogna invece ricorrere alle forche caudine di liste aziendali che se mantenessimo il paragone precedente sarebbe come effettuare le elezioni politiche condominio per condominio …

Norme disciplinari

Ben sei articoli di questo contratto riguardano le novità sui “doveri” del dipendente che diventano “obblighi”ed articolano tutti gli strumenti in mano all’Amministrazione: dai rimproveri verbali, alle sospensioni ai licenziamenti, per istaurare un clima di totale asservimento dei lavoratori agli interessi dell’Azienda. “L’inosservanza alle disposizioni di servizio, anche in tema di malattia, nonché dell’orario di lavoro”, “L’insufficiente rendimento nell’assolvimento dei compiti assegnati rispetto ai carichi di lavoro”, “L’arrecare danno o pericolo all’azienda o Ente, anche attraverso manifestazioni ingiuriose” possono portare, se recidive, anche al licenziamento.

Inoltre la sanzione della sospensione dal servizio viene aumentata a 6 mesi.

Tutto l’impianto disciplinare concorre a blindare le denunce e le proteste dei lavoratori contro la cancellazione del diritto alla salute, autorizzando le Aziende a considerare un attacco all’immagine aziendale il ricorso di un lavoratore ad un giornale, ma anche ad un volantino, per denunciare le disastrose condizioni di lavoro e dell’assistenza!

Non vedo, non sento, non parlo…come le tre scimmiette…ma ubbidisco!?!

A margine del contratto …alcuni dati utili da ricordare:

In Italia sono 800.000 gli operatori sanitari. Dalle stime della Conferenza Stato e Regioni mancano ben 38.000 infermieri di cui 8.000 solo nel campo dell’assistenza alla salute mentale.

Nel 2001 ci sono stati 11.000 pensionamenti. In quello stesso anno sono usciti dalle scuole solo 3.000 infermieri professionali.

Il rapporto medici - infermieri in Inghilterra è di 1:10, in Italia è di 1:3 … con situazioni dove non si raggiunge neanche l’1:1.

In Europa lo standard assistenzialeprevede 6,9 infermieri ogni 1.000 abitanti ma nessuno stato europeo lo raggiunge attestandosi ad una media di 4,8 e con orari di lavoro che vanno dalle 36 alle 40 ore settimanali.

L’attività libero professionale anche per le figure non mediche viene introdotta con la legge n.1 dell’8/1/02 (legge Sirchia), considerata dai Piani Sanitari Nazionale e Regionali e dai contratti un valido strumento per ridurre la carenza degli organici. La legge Sirchia consente infatti alle Aziende di pagare l’orario di lavoro supplementare notevolmente di più degli attuali straordinari, e grazie a questi incentivi sono molti i lavoratori (in particolare gli infermieri professionali) che hanno accettato di barattare lo stesso diritto ad avere tempo libero a disposizione, riposi compensativi, per poter garantire alle Amministrazioni una flessibilità senza precedenti.

In Italia il rapporto Spesa Sanitaria e P.I.L. è salito dall’8,4 del 2001 all’8,6 del 2002. Paesi come il Canada, la Svizzera, la Danimarca, ma perfino la Grecia e la Turchia hanno un rapporto più alto. Gli Stati Uniti con la totale privatizzazione del SSN hanno il rapporto più alto di tutti i paesi (13,9) se consideriamo la spesa Sanitaria totale ed il PIL, ma hanno quello più basso (il 44%) se rapportiamo la spesa sanitaria pubblica con il totale della spesa sanitaria.

Nel rapporto fra spesa sanitaria pubblica e spesa sanitaria totale anche l’Italia, a causa dell’aumento di finanziamenti dirottati dal pubblico al privato, è passata dal 75,3% del 2001 al 74,8% del 2002.

I finanziamenti al SSN per il 2004 sono 72 miliardi e mezzo di Euro, ma nella conferenza Stato e Regioni, di alcune settimane fa, è stato denunciato che mancano ben 5 miliardi di euro per garantire i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) ed 1 miliardo di euro per l’assistenza ai 750 mila immigrati regolari.

L’ospedalizzazione è stata ridotta ad un tasso del 119% nonostante la paurosa carenza di strutture e presidi territoriali e dal 2001 assistiamo ad una programmata chiusura di migliaia di posti letto, di decine di DEA e di centinaia di servizi (Sert, Ambulatori, IGV, Dip. Salute Mentale, ecc.).

Il rapporto di 5 posti letto (di cui 1 di riabilitazione) per 1.000 abitanti viene disatteso in quasi tutte le regioni italiane, con una media di 4,3 (regioni come la Calabria e la Campania si attestano a 3,4 e solo il Veneto arriva a 5).

250.000 sono gli istituti pubblici e 57.000 quelli privati (la differenza fra pubblico e privato diventa quasi nulla per le strutture di lungodegenza e riabilitazione: 18.000 posti letto pubblici 16.000 privati).

Il 30% di minori viene curato in ospedali per adulti e non in area pediatrica e questa situazione diventa tragica specialmente per i ricoveri psichiatrici, visto che moltissimi adolescenti vengono ricoverati negli SPDC invece che in strutture con pazienti al di sotto dei 18 anni. La prima esperienza con le droghe (leggere o/e pesanti) è scesa sotto i tredici anni e, nelle scuole come nei quartieri, spazi sociali, sia fisici che mentali, per fare prevenzione sono nulli.

In Italia ci sono ben 5 milioni di persone con patologie psichiatriche, 1 adulto su 4 nel corso dellavita presenta disturbi psichici ma solo il 10 % di questi accede alle cure del servizio pubblico, il 40% delle richieste rivolte ai medici di famiglia riguardano queste patologie, ben il 20 % dei ricoveri in ospedali generali sono fatti per patologie depressive.

Incrementi mensili della retribuzione tabellare CCNL (valore in euro)

  1 2 3 = (1+2) 4 5 6 = (4+5) 7 = (3 x 4) 8 = 4+5+7

Posiz.

Econ.

Aumenti

Dal

1/1/2002

Aumenti

Dal

1/1/2003

Aumento retribuzione base da Maggio ‘04

Arretrati

2002

Arretrati

2003

Totale arretrati

2002 + 2003

Arretrati da GEN-APR 2004

Totale arretrati

2002+2003+

2004

A 30,20 33,30 63,50 392,60 825,50 1.218,10 254,00 1.472,10
A 1 31,10 34,20 65,30 404,30 848,90 1.253,20 261,20 1.514,40
A 2 31,90 35,10 67,00 414,70 871,00 1.285,70 268,00 1.553,70
A 3 32,40 35,70 68,10 421,20 885,30 1.306,50 272,40 1.578,90
A4 32,90 36,30 69,20 427,70 899,60 1.327,30 276,80 1.604,10
B 32,70 36,00 68,70 425,10 893,10 1.318,20 274,80 1.593,00
B 1 33, 60 37,00 70,60 436,80 917,80 1.354,20 282,40 1.637,00
B 2 34,60 38,10 72,70 449,80 945,10 1.394,90 290,80 1.685,70
B 3 35,20 38,80 74,00 457,60 962,00 1.419,60 296,00 1.715,60
B 4 35,90 39,60 75,50 466,70 981,50 1.448,20 302,00 1.750,20
B s 33,90 37,30 71,20 440,70 925,60 1.366,30 284,80 1.651,10
B s 1 34,90 38,50 73,40 453,70 954,20 1.407,90 293,60 1.701,50
B s 2 35,90 39,60 75,50 466,70 981,50 1.448,20 302,00 1.750,20
B s 3 36,70 40,40 77,10 477,10 1.002,30 1.479,40 308,40 1.787,80
B s 4 37,90 41,70 79,60 492,70 1.034,80 1.527,50 318,40 1.845,90
C 37,50 41,20 78,70 487,50 1.023,10 1.510,60 314,80 1.825,40
C 1 38,60 42,50 81,10 501,80 1.054,30 1.556,10 324,40 1.880,50
C 2 40.00 44,00 84,00 520,00 1.092,00 1.612,00 336,00 1.948,00
C 3 41,30 45,50 86,80 536,90 1.128,40 1.665,30 347,20 2.012,50
C 4 43,30 47,70 91,00 562,90 1.183,00 1.745,90 364,00 2.109,90
D 40,70 44,80 85,50 529,10 1.111,50 1.640,60 342,00 1.982,60
D 1 42,20 46,40 88,60 548,60 1.151,80 1.700,40 354,40 2.054,80
D 2 43,50 47,90 91,40 565,50 1.188,20 1.753,70 365,60 2.119,30
D 3 44,90 49,40 94,30 583,70 1.225,90 1.809,60 377,20 2.186,80
D 4 46,20 50,90 97,10 600,60 1.262,30 1.862,90 388,40 2.251,30
D 5 47,60 52,40 99,80 618,80 1.300,00 1.918,80 399,20 2.315,40
D s 43,90 48,30 92,20 570,70 1.198,60 1.769,30 368,80 2.138,10
D s1 45,60 50,20 95,80 592,80 1.245,40 1.838,20 383,20 2.221,40
D s2 47,30 52,10 99,40 614,90 1.292,20 1.907,10 397,60 2.304.70
D s3 49,20 54,10 103,30 639,60 1.342,90 1.982,50 413,20 2.395,70
D s4 50,70 55,80 106,50 659,10 1.384,50 2.043,60 426,00 2.469,60
D s5 52,20 57,50 109,70 678,60 1.426,10 2.104,70 438,80 2.543,50

Info su: www.azimut-onlus.org

 

Dai un contributo ai progetti internazionali dei Cobas

Associazione Azimut

Codice Fiscale 97342300585