IL PIANO SOCIO-SANITARIO REGIONALE 2002 - 2004
SCHEMA
di
PIANO SANITARIO NAZIONALE
2002 – 2004
SINTESI
Marzo 2002
2
INDICE
PRESENTAZIONE
IL NUOVO SCENARIO ED I FONDAMENTI DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE….……………………………pag. 4
PARTE PRIMA
I PROGETTI OBIETTIVO
Progetto 1 “Attuare l’Accordo sui Livelli Essenziali ed Appropriati di Assistenza”…….…………………. “ 5
Progetto 2 “Creare una rete integrata di servizi sanitari e sociali
per l’assistenza ai malati cronici, agli anziani e ai disabili”.…………………………………… “ 5
Progetto 3 “Garantire e monitorare la qualità dell’assistenza sanitaria
e delle tecnologie biomediche”….…………….………………………………………………………… “ 6
Progetto 4 “Potenziare i fattori di sviluppo (o “capitali”) della sanità”..…….……………………………… “ 7
Progetto 5 “Realizzare una formazione permanente di alto livello in medicina e sanità”.…………… “ 9
Progetto 6 “Ridisegnare la rete ospedaliera ed i nuovi ruoli per i Centri di Eccellenza
e per gli altri Ospedali”..…………………………………………………………………………………… “ 10
Progetto 7 “Potenziare i Servizi di Urgenza ed Emergenza”.…………………………………………………… “ 12
Progetto 8 “Promuovere la ricerca biomedica e biotecnologica e quella sui servizi sanitari..……… “ 13
Progetto 9 “Promuovere gli stili di vita salutari, la prevenzione
e la comunicazione pubblica sulla salute”...………………………………………………………… “ 14
Progetto 10 “Promuovere un corretto uso dei farmaci e la farmacovigilanza”….……………………… “ 15
PARTE SECONDA
GLI OBIETTIVI GENERALI
1. LA PROMOZIONE DELLA SALUTE……………………………………………………….………..pag. 16
I tumori………………………………………………………………………………………..………………….. “ 16
Le cure palliative……………………………………………………………………………………………….. “ 17
Il diabete e le malattie metaboliche…………………………………………………………………… . “ 18
Le malattie respiratorie e allergiche……………………………………………………………..……… “ 19
Le malattie reumatiche ed osteoarticolari…………………………………………………………….. “ 19
Le malattie rare……………………………………………………………………………………………….… “ 19
Le malattie trasmissibili prevenibili con la vaccinazione……………………………………….…. “ 20
La sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS)
e le malattie a trasmissione sessuale…………………………………………………………….… “ 21
Gli incidenti e le invalidità…………………………………………………………………………………… “ 21
Le lesioni cerebrali……………………………………………………………………………………………… “ 22
La medicina trasfusionale……………………………………………………………………………………. “ 22
I trapianti di organo………………………………………………………………………………………….… “ 23
3
2. L’AMBIENTE E LA SALUTE…………………………………………………………..pag. 24
L’inquinamento atmosferico………………………..……………………………………………………….… “ 24
L’amianto…………………………………………………………………………………………………………….. “ 25
Il benzene……………………………………………………………………………………………………………. “ 25
La carenza dell’acqua potabile e l’inquinamento……………………………………………………….. “ 25
Le acque di balneazione…………………………………………………………………………………………. “ 26
L’inquinamento acustico…………………………………………………………………………………………. “ 26
La medicina del lavoro…………………………………………………………………………………………… “ 27
I campi elettromagnetici………………………………………………………………………………………… “ 27
Lo smaltimento dei rifiuti……………………………………………………………………………………….. “ 28
Pianificazione e risposta sanitaria in caso di eventi terroristici e di altra natura………………“ 29
3. LA SICUREZZA ALIMENTARE E LA SANITÀ VETERINARIA….…………..….. “ 31
4. LA SALUTE E IL SOCIALE……………………………………………………………………………. “ 32
Le fasce di povertà e di emarginazione…………………….…………………………………………….. “ 32
La salute del neonato, del bambino e dell’adolescente……………..………………………..…….. “ 32
La salute mentale………………………………………………………………………………………………….. “ 34
Le tossicodipendenze……………………………………………………………………………………………. “ 36
La sanità penitenziaria………………………………………………………………………………………….. “ 39
La salute degli immigrati……………………………………………………………………………………….. “ 39
Ringraziamenti a coloro che hanno collaborato alla stesura del presente Piano…………….………“ 41
4
PRESENTAZIONE
IL NUOVO SCENARIO ED I FONDAMENTI DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE
Lo schema di Piano Sanitario 2002-2004 è radicalmente differente dai piani che l'hanno
preceduto. Le ragioni di questo cambiamento risiedono nelle modificazioni sociali e politiche
che sono intervenute in questi ultimi anni. Già la stessa modificazione del nome del Ministero
da Ministero della Sanità a Ministero della Salute è significativo. Infatti, anche se il Servizio
Sanitario Nazionale è un importante strumento di salute, non è l'unico; il benessere
psicofisico si mantiene se si pone attenzione agli stili di vita, all'ambiente, all'alimentazione,
evitando gli stili che possono risultare nocivi. Per quanto riguarda lo scenario politico
istituzionale, il recente decentramento dei poteri dallo Stato alle Regioni sta assumendo
l'aspetto di una reale devoluzione. E’ quindi naturale che il Piano Sanitario Nazionale,
coerente con questi cambiamenti, si trasformi da atto programmatico per le Regioni in
progetto di salute, condiviso ed attuato con le Regioni in modo sinergico ed interattivo.
Compito fondamentale dello Stato è assicurare per quanto possibile l'etica dei sistemi
operativi e quindi dare garanzia ai cittadini che i loro diritti costituzionali sono rispettati. Il
nostro Servizio Sanitario Nazionale, pur essendo mediamente soddisfacente, non sempre
riesce a garantire equità al sistema; basti pensare a questo proposito al problema delle liste
d'attesa per le patologie che non possono attendere, al doppio canale di pagamento delle
prestazioni generato dalla libera professione intramoenia negli Ospedali, alle differenze qualiquantitative
nei servizi erogati nelle varie aree del Paese, agli sprechi e all'inappropriatezza
delle richieste e delle prestazioni, al condizionamento delle libertà di scelta dei malati,
all'insufficiente attenzione posta al finanziamento e all'erogazione dei servizi per cronici ed
anziani.
Lo schema di Piano Sanitario attuale si apre quindi con un forte richiamo all'etica del sistema
e ai sette principi di Tavistock che costituiscono un punto di riferimento, cui la Nazione nel
suo Servizio Sanitario deve tendere. Gli obiettivi strategici del Piano vengono discussi nella
Parte Prima, mentre la Parte Seconda illustra gli Obiettivi Generali.
5
PARTE PRIMA
I PROGETTI OBIETTIVO
Progetto 1 “Attuare l’Accordo sui Livelli Essenziali ed Appropriati di Assistenza”
Il primo di essi riguarda i Livelli Essenziali ed appropriati di Assistenza, la loro manutenzione
e soprattutto l'uniformità della loro realizzazione sul territorio nazionale. I Livelli Essenziali di
Assistenza sono il primo frutto concreto dell'Accordo stipulato tra il Governo e le Regioni in
materia sanitaria l'8 agosto 2001 e hanno appunto il compito di garantire su tutto il territorio
nazionale uguali prestazioni ai cittadini. Essi includono per la prima volta il concetto di
garanzia dell'assistenza erogata e di appropriatezza. Infatti le prestazioni per essere
considerate essenziali devono essere appropriate e questa appropriatezza deve essere
periodicamente verificata dalle Regioni.
Nell’ambito dell’Accordo, particolare importanza riveste la questione della corretta gestione
degli accessi e delle attese per le prestazioni sanitarie, sottolineata più volte anche dal
Presidente della Repubblica e dal Presidente del Consiglio e anch'essa obiettivo di primaria
importanza per il cittadino. A seguito dell'Accordo Stato-Regioni del 14 febbraio 2002 le
Regioni oggi dispongono di strumenti addizionali di flessibilità per affrontare e risolvere il
problema delle liste di attesa. Esse si assumono inoltre l'obbligo di verificare periodicamente
le liste e renderle pubbliche onde permettere ai cittadini la verifica della bontà delle
iniziative. Per i prossimi tre anni gli obiettivi saranno quelli di sviluppare un sistema di
indicatori pertinenti e continuamente aggiornati per il monitoraggio dell'applicazione dei LEA,
aggiornare con cadenza periodica i livelli essenziali di assistenza in termini di indicatori di
appropriatezza e di tipologia delle prestazioni tramite un'apposita Commissione Nazionale
nominata dalle Regioni e dal Ministero della Salute, rendere pubblici i tempi di attesa per le
prestazioni appropriate, filtrando quelle non appropriate e ponendo in priorità quelle relative
alle patologie più invalidanti ed urgenti.
Progetto 2 “Creare una rete integrata di servizi sanitari e sociali per l’assistenza
ai malati cronici, agli anziani e ai disabili”
Il secondo importante obiettivo è quello di creare una rete integrata di servizi sanitari e
sociali per l'assistenza ai malati cronici, agli anziani e ai disabili. Premesso che la cronicità e
la vecchiaia non sono stati finora affrontati nel nostro Paese con la dovuta attenzione e con i
dovuti strumenti, si ritiene che questo obiettivo sia ormai indifferibile: la popolazione anziana
cresce continuamente e con essa crescono le pluripatologie e le invalidità. Sempre più
diviene necessario integrare davvero la prestazione sanitaria con l'assistenza sociale, cosa
che oggi non sempre avviene e crea grave disagio ai pazienti e alle loro famiglie. L'anziano e
il disabile inoltre chiedono di poter essere assistiti al loro domicilio, evitando il ricovero
6
improprio in strutture ospedaliere o in residenze sanitarie assistenziali, non appena questo è
possibile. Mancano Centri di degenza riabilitativa post-acuta e di sollievo, Centri diurni nei
quali gli anziani possono essere assistiti, manca soprattutto un sistema di presa in carico
globale dell'assistito che ne risolva i bisogni sanitari e sociali e lo guidi all'interno di una rete
di servizi dove spesso egli si sente disorientato. Altre nazioni hanno già provveduto a
costituire un adeguato fondo assicurativo contro i rischi della non-autosufficienza o
comunque a reperire risorse capaci di assicurare all'anziano divenuto non-autosufficiente e
alla sua famiglia la possibilità di continuare una vita dignitosa. Il nostro Paese ancora non ha
provveduto ad affrontare questo problema in modo adeguato ed è quindi tempo che ciò
avvenga.
Bisogna anche sviluppare la cosiddetta ospedalità a domicilio ovvero trasferire a domicilio del
paziente alcuni servizi oggi erogati solo dall'Ospedale, incluse le cure palliative, le terapie
infusionali, la dialisi, etc. Viene presentato nel Piano un modello di cura ed assistenza a
domicilio che integra l'assistenza specialistica di tipo ospedaliero, quella territoriale con i
servizi sociali.
Gli obiettivi per i prossimi tre anni
Per i tre anni di applicazione del Piano vengono fissati i seguenti obiettivi:
- avviare lo studio per l’identificazione di una adeguata sorgente di risorse per la copertura
dei rischi di non-autosufficienza;
- la sperimentazione di forme di “governo della rete” che integrino le competenze degli
Ospedali, delle ASL e dei Comuni, con ricorso anche all’utilizzo di gestori di servizio
privato nelle aree di sperimentazione.
Progetto 3 “Garantire e monitorare la qualità dell’assistenza sanitaria e delle
tecnologie biomediche”
Sempre più frequentemente emerge in sanità l'intolleranza dell'opinione pubblica verso
disservizi e incidenti, che originano dalla mancanza di un sistema di garanzia di qualità e che
vanno dagli errori medici alle lunghe liste d’attesa, alle evidenti duplicazioni di compiti e
servizi, alla mancanza di piani formativi del personale strutturati e documentati, alla
mancanza di procedure codificate, agli evidenti sprechi.
La normativa ISO 9000 progettata anche per la sua applicazione in sanità, dopo il successo
ottenuto nell’industria e negli altri servizi, definisce un insieme di regole, che includono
l’organizzazione aziendale, le responsabilità, la analisi minuziosa dei processi, la formazione
del personale e le verifiche esterne da parte di soggetti accreditati, con rilascio della
certificazione.
L'istituto della certificazione è, quindi, diverso da quello dell'accreditamento previsto dal
Decreto Legislativo 30 dicembre 1992 n. 502. L’accreditamento, infatti dovrebbe essere il
processo attuato dalle Regioni per ammettere gli erogatori, cioè le strutture autorizzate e
7
certificate, a fornire servizi finanziati dal Fondo Sanitario Regionale, dopo adeguata
contrattazione delle tipologie e dei volumi di prestazioni e dei relativi prezzi. Il processo di
accreditamento prevede ulteriori requisiti degli erogatori di servizi certificati, ma non
dovrebbe sostituirsi al processo di autorizzazione e a quello di certificazione e l'intera materia
deve quindi essere riesaminata e migliorata, anche perché non si può ammettere che la
mera esistenza dei requisiti richiesti per l’accreditamento dia automaticamente diritto agli
erogatori di servizi ad operare per il Servizio Sanitario Regionale.
La certificazione degli erogatori di servizio può contribuire a rafforzare il controllo della
collettività, che si sostituisce al controllo burocratico, finora esercitato dallo Stato. Il ruolo di
un Osservatorio di parte terza indipendente, capace di misurare i risultati delle prestazioni
erogate e certificate, deve completare questa nuova forma di controllo della società sui
servizi sanitari.
Gli obiettivi per i prossimi tre anni
Nel corso dei tre anni saranno perseguiti i seguenti obiettivi, cui corrispondono altrettante
azioni:
- promuovere all’interno di ogni Azienda Sanitaria la costituzione di un Servizio della
Qualità con l’obiettivo di portarlo alla certificazione secondo la norma ISO 9000;
- assegnare al Servizio della Qualità una valenza strategica, tramite la sua collocazione
in staff ai vertici dell’azienda e collegare il Servizio ai singoli Reparti operativi della
struttura attraverso referenti di Reparto;
- sostenere i Servizi della Qualità nella redazione di un Manuale della Qualità;
- rivedere l’attuale normativa sull’accreditamento;
- promuovere la nascita dell’Osservatorio per la Qualità, che proceda alla
progettazione e realizzazione di un sistema articolato di monitoraggio e reporting;
Progetto 4 “Potenziare i fattori di sviluppo (o “capitali”) della sanità”
Le organizzazioni complesse utilizzano tre forme di “capitale”: umano, sociale e fisico.
Il “capitale umano”, ossia il personale del Servizio Sanitario Nazionale, è quello che presenta
aspetti di maggiore delicatezza. La Pubblica Amministrazione, che gestisce la maggior parte
dei nostri ospedali, non rivolge sufficiente attenzione alla motivazione del personale e alla
promozione della professionalità e molti strumenti utilizzati a questo scopo dal privato le
sono sconosciuti.
Solo oggi si comincia in Italia a realizzare un organico programma di aggiornamento del
personale sanitario. Dal 2002 diventa, infatti, realtà l’acquisizione dei crediti per tutti gli
operatori sanitari che partecipano agli eventi autorizzati dalla Commissione Nazionale per
l’Educazione Medica Continua. Ben più importante, inizia, secondo l’Accordo del 20 dicembre
2001 con le Regioni, e grazie all’adesione di varie organizzazioni e associazioni inclusi gli
Ordini delle Professioni Sanitarie, la Federazione dei Direttori Generali delle Aziende Sanitarie
e le Società scientifiche italiane, l’aggiornamento aziendale, che prevede un impegno delle
8
Aziende Sanitarie ad attivare postazioni di educazione e corsi aziendali per il personale,
utilizzando anche e soprattutto la rete informatica.
Altrettanto necessaria appare la valorizzazione della professione infermieristica e delle altre
professioni sanitarie, per le quali si impone la nascita di una nuova “cultura della
professione”, così che il ruolo dell’infermiere sia ricondotto, nella percezione sia della classe
medica sia dell’utenza, all’autentico fondamento epistemologico del nursing. In questo senso
va letto il Decreto Legge 12 novembre 2001 n. 402, convertito nella Legge 8 gennaio 2002
n. 1, che consente alle strutture sanitarie di avvalersi di infermieri professionali e altri
professionisti che lo desiderino per esercitare un’attività libero-professionale per alcuni versi
analoga a quella consentita ai medici, e che permetta loro una migliore gratificazione
economica, oltre alla possibilità di avere pari accesso alle qualificazioni universitarie. Si è,
inoltre, ritenuto importante consentire agli operatori socio-sanitari di svolgere alcune attività
assistenziali, a seguito di corsi di formazione.
Gli investimenti per l’edilizia ospedaliera e per le attrezzature risalgono per la maggior parte
alla Legge 11 marzo 1988 n. 67 e molti dei fondi da allora impegnati non sono ancora stati
utilizzati per una serie di difficoltà incontrate sia dallo Stato sia dalle Regioni in fase di
progettualità e di realizzazioni.
Alla luce delle necessità di oggi, una consistente parte delle risorse dovrebbe essere
utilizzata per realizzare Centri di Eccellenza, capaci di offrire uniformemente sul territorio
nazionale prestazioni di alta specialità e di trattenere così nella Regione i pazienti che
attualmente sono costretti ad emigrare per vedere soddisfatti alcuni dei loro bisogni di
salute. L’investimento in Centri di Eccellenza è strategico anche in vista della libera
circolazione dei pazienti nell’Unione Europea, di cui già si è cominciato a discutere.
Il risultato finale deve, in sintesi, prevedere la sinergia di interventi mirati a:
- dare piena attuazione alla Educazione Continua in Medicina;
- valorizzare le figure del medico e degli altri operatori sanitari;
- utilizzare i fondi ancora disponibili per le strutture e attrezzature ospedaliere,
dedicando buona parte degli investimenti ai Centri di Eccellenza distribuiti
strategicamente su tutto il territorio nazionale e tra loro collegati in rete con scambi
di conoscenze e personale;
- alleggerire le strutture pubbliche ed il loro personale dai vincoli e dalle procedure
burocratiche che limitano le capacità gestionali e rallentano l’innovazione,
consentendo loro una gestione imprenditoriale finalizzata anche
all’autofinanziamento;
- investire per il supporto dei valori sociali, intesi come cemento della società civile e
strumento per rapportare i cittadini alle Istituzioni ed ai servizi sanitari pubblici e
privati;
9
Progetto 5 “Realizzare una formazione permanente di alto livello in medicina e
sanità”
Il recente accordo in Conferenza Stato-Regioni del 20 dicembre 2001 ha sancito in maniera
positiva la convergenza di interesse tra Ministero della Salute e Regioni nella pianificazione di
un programma nazionale che, partendo dal lavoro compiuto dalla Commissione Nazionale
per la Formazione Continua, si estenda capillarmente così da creare una forte coscienza della
autoformazione e dell’aggiornamento professionale estesa a tutte le categorie professionali
impegnate nella sanità.
Un elemento caratterizzante del programma è la sua estensione a tutte le professioni
sanitarie, con una strategia innovativa rispetto agli altri Paesi. Il razionale sotteso a questo
approccio è evidente: nel momento in cui si afferma la centralità del paziente e muta il
contesto dell’assistenza, con la nascita di nuovi protagonisti e con l’emergere di una cultura
del diritto alla qualità delle cure, risulta impraticabile la strada di una formazione élitaria,
limitata ad una o a poche categorie professionali, e diviene obbligo morale la garanzia della
qualità professionale estesa trasversalmente a tutti i componenti della équipe sanitaria, una
utenza di oltre 800.000 addetti delle diverse professioni sanitarie e tecniche.
Gli obiettivi per i prossimi tre anni
La necessità di coinvolgere una utenza di oltre 800.000 professionisti impone gradualità
nell’introduzione e nell’attuazione del sistema. Alla luce di ciò, e delle considerazioni sopra
riportate, si ritiene che gli obiettivi raggiungibili nei prossimi tre anni siano i seguenti:
a) avvio della fase a regime (dal 2002), con apertura di un sito Internet dedicato, che
accetterà la registrazione di eventi formativi i cui crediti, assegnati secondo griglie
predisposte dalla Commissione Nazionale e valutata da referees anonimi indicati
dalle Società Scientifiche, saranno oggetto di certificazione ufficiale ai sensi della
Legge;
b) attuazione (dal gennaio 2002) della formazione intra-aziendale, come base per
garantire una adeguata offerta formativa, in grado di soddisfare tutte le categorie
professionali interessate;
c) graduale applicazione dell’obbligo formativo, definito in dieci crediti per il 2002, venti
crediti per il 2003 e trenta crediti per il 2004;
d) attuazione della formazione a distanza per tutti gli operatori, compresi i medici di
medicina generale, i pediatri di libera scelta e i liberi professionisti, mediante
approvazione ed accreditamento delle piattaforme di e-learning e dei loro contenuti
da parte della Commissione Nazionale tenendo conto del fatto che i medici di
medicina generale hanno già sviluppato un sistema di informazione dei loro
componenti mediante trasmissione di dati e immagini per via satellitare e simili
iniziative sono state intraprese anche da altre Associazioni professionali;
e) definizione dei criteri per il passaggio dall’accreditamento degli eventi formativi a
quella dell’accreditamento dei providers, mediante la delega ai soggetti previsti dalla
Legge ed in possesso di requisiti di idoneità, alla produzione di eventi formativi ed
all’attribuzione dei relativi crediti;
10
f) implementazione di un sistema di controllo sulla qualità degli eventi, dei providers e
del programma generale di Educazione Continua in Medicina (ECM) affidato
prevalentemente alle Società Scientifiche e alla loro Federazione;
g) attuazione di un programma di verifica e di adeguamento “in progress”, allo scopo di
portare il sistema alla piena funzionalità alla fine del triennio;
h) utilizzazione dei crediti per la conferma della validità dell’esame di abilitazione
professionale e loro valorizzazione come titoli di carriera.
Progetto 6 “Ridisegnare la rete ospedaliera ed i nuovi ruoli per i Centri di
Eccellenza e per gli altri Ospedali”
Per molti anni l’Ospedale ha rappresentato nella sanità il principale punto di riferimento per
medici e pazienti: realizzare un Ospedale ha costituito per piccoli e grandi Comuni italiani un
giusto merito, ed il poter accedere ad un Ospedale situato a breve distanza dalla propria
residenza è diventato un elemento di sicurezza e di fiducia per la popolazione, che ha
portato l’Italia a realizzare ben 1.440 Ospedali, di dimensioni e potenzialità variabili.
Negli ultimi 20 anni è cambiata la tecnologia, ed è cambiata la demografia: l’aspettativa di
vita è cresciuta fino a raggiungere i 76,0 anni per gli uomini e gli 82,4 anni per le donne,
cosicché la patologia dell’anziano, prevalentemente di tipo cronico, sta progressivamente
imponendosi su quella dell’acuto. Si sviluppa conseguentemente anche il bisogno di servizi
socio-sanitari, in quanto molte patologie croniche richiedono non solo interventi sanitari, ma
soprattutto servizi per la vita di tutti i giorni, la gestione della non-autosufficienza,
l’organizzazione del domicilio e della famiglia, sulla quale gravano maggiormente i pazienti
cronici. Nasce la necessità di portare al domicilio del paziente le cure di riabilitazione e quelle
palliative con assiduità e competenza, e di realizzare forme di ospedalizzazione a domicilio
con personale specializzato, che eviti al paziente di muoversi e di affrontare il disagio di
recarsi in Ospedale.
Alla luce di questo nuovo scenario la nostra organizzazione ospedaliera, un tempo assai
soddisfacente, necessita oggi di un ripensamento.
Un Ospedale piccolo sotto casa non è più una sicurezza, in quanto spesso non può disporre
delle attrezzature e del personale che consentono di attuare cure moderne e tempestive. Un
piccolo Ospedale generale diviene assai più utile se si attrezza con un buon Pronto Soccorso
di primo livello, una diagnostica di base e un Reparto di osservazione e si connette con uno
o più Centri di alta specialità ai quali inviare i casi più complessi, rinunciando ad attuare
procedure diagnostiche o terapeutiche non più sufficientemente moderne.
Accanto a questa rete di Ospedali minori, che meglio possono divenire Centri Distrettuali di
Salute, è però necessario potenziare un numero limitato di Centri di Eccellenza di altissima
specialità e complessità, situati strategicamente su tutto il territorio nazionale. Molti di questi
Centri già esistono, ma parte di essi richiede un forte rilancio.
A tal fine occorre che le Regioni sappiano realizzare uno strategico e coraggioso ridisegno
della loro rete ospedaliera, superando anche resistenze di settore o interessi di parte, ed è
anche necessaria una forte azione di comunicazione con la popolazione interessata per la
11
quale può essere utile il coinvolgimento dei Sindaci delle aree metropolitane, che dispongono
oggi di notevoli poteri.
Gli obiettivi per i prossimi tre anni:
- costruire e potenziare, in accordo con le Regioni e con i Sindaci di alcune città
metropolitane, alcuni Centri di Eccellenza e collegare in rete tali Centri in modo da
realizzare un proficuo scambio di personale e conoscenze;
- validare il modello sperimentale per trasferirlo, progressivamente e in accordo con le
Regioni interessate, ad altri Centri di Eccellenza e grandi Ospedali metropolitani;
- prendere a modello alcune specialità mediche, come l’ematologia, che hanno già istituito
una rete coordinata fra i Centri operanti sul territorio nazionale per migliorare
l’assistenza ai pazienti in ogni area del Paese;
- attivare servizi di consulenza a distanza, compresa la telematica, per i medici di medicina
generale e per gli specialisti e sviluppare i mezzi per il trasporto sanitario veloce;
- attivare, in accordo con le Regioni, alcune sperimentazioni in altrettanti IRCCS, in cui gli
enti siano trasformati in Fondazioni di tipo pubblico onde migliorare la gestione di tali
importanti istituti. A questo proposito è necessario cogliere l’opportunità delle essenziali
modifiche relative all’assetto istituzionale offerte, in via sperimentale, dall’art. 28, comma
8, della Legge Finanziaria 28 dicembre 2001 n. 448, che prevede le seguenti possibilità:
1) inserire le Regioni e lo Stato pariteticamente nell’organo di governo dell’Ente. Per
questo si è pensato sulla scorta di esperienze straniere di trasformarli in Fondazioni,
con un Consiglio di Amministrazione a maggioranza pubblica che garantisca la
missione pubblica, ma anche con la possibilità di ammettere privati mecenati (ovvero
economicamente disinteressati, quali ad esempio le Fondazioni bancarie) che
possano apportare capitali, fermo restando la natura pubblica degli Enti, come
previsto dall’art. 28 della Legge Finanziaria 2002;
2) attivare e/o partecipare società che gestiscono attività produttive al fine di generare
risorse da utilizzare nella ricerca e nella gestione, incluso il superminimo per il
personale;
3) la Fondazione può affidare la gestione dei servizi in tutto o in parte a terzi.
L’affidamento della gestione totale è difficile possa avvenire negli attuali IRCCS, il cui
personale dipendente opera con contratto di lavoro di diritto pubblico. La soluzione
relativa all’affidamento della gestione totale si può prevedere eventualmente per gli
IRCCS che sorgano ex novo.
I vantaggi attesi da queste sperimentazioni sono i seguenti:
1) dare alle Regioni la possibilità di partecipare direttamente al governo degli IRCCS
pubblici;
2) aumentare le risorse disponibili per la gestione e la ricerca tramite l’inserimento di
privati mecenati disinteressati nel Consiglio di Amministrazione e tramite lo sviluppo
di attività produttive cogestite con i privati. Per il personale che oggi opera con
rapporto di lavoro di diritto pubblico non vi è ragione di alcun timore, in quanto la
finalità pubblica della Fondazione garantisce che il rapporto di lavoro esistente, di
diritto pubblico, non verrà modificato;
12
3) ridurre in tal modo il disavanzo a carico del pubblico, rispettando nel frattempo la
missione pubblica (cioè evitare la selezione dei pazienti);
4) riunire gli IRCCS per aree tematiche di ricerca in una rete che opera con scambio di
conoscenze e personale, così da elevare il livello della disciplina trattata in tutto il
Paese, compreso il Meridione dove oltre tutto si pensa di attivare qualche nuovo
IRCCS.
In una parola si vuole rilanciare gli IRCCS pubblici che oggi si confrontano spesso malamente
con quelli privati, soprattutto per l’efficienza della gestione e per il gradimento della
popolazione, creare reti di Centri di Eccellenza capaci di sostenere il confronto con simili
presidi in Europa, dotare questi Centri di più risorse per la gestione e la ricerca, mantenere il
controllo e la missione pubblica di questi importanti motori di sviluppo della medicina
italiana.
Progetto 7 “Potenziare i Servizi di Urgenza ed Emergenza”
Le Linee Guida 11 aprile 1996 n. 1, forniscono le indicazioni sui requisiti organizzativi e
funzionali della rete dell’emergenza e sulle Unità operative che compongono i Dipartimenti di
Urgenza ed Emergenza (DEA) di I e II livello. Sulla base di tali indicazioni il sistema
dell’emergenza sanitaria risulta costituito da:
- un sistema di allarme sanitario assicurato dalla centrale operativa, alla quale affluiscono
tutte le richieste di intervento sanitario in emergenza tramite il numero unico telefonico
nazionale (118);
- un sistema territoriale di soccorso costituito da idonei mezzi di soccorso distribuiti sul
territorio;
- una rete di servizi e presidi funzionalmente differenziati e gerarchicamente organizzati.
Un aspetto che necessita un approfondito esame è relativo al problema di disincentivare gli
accessi "impropri" al Pronto Soccorso, da parte di cittadini che vi accedono di propria
iniziativa, saltando le tappe del medico di medicina generale o dei presidi territoriali.
Per perseguire questa finalità si può ipotizzare il pagamento per le prestazioni richieste in
Pronto Soccorso, ma non urgenti. Alcuni propongono che tutti i cittadini possano accedere al
Pronto Soccorso di qualsiasi Ospedale, sottoponendo al pagamento delle prestazioni i
pazienti che non ricadano nelle seguenti fattispecie:
- pervenuti a bordo di un’ambulanza per emergenza;
- inviati dalla Guardia Medica Territoriale;
- inviati dal proprio medico di medicina generale;
- inviati da uno specialista ospedaliero o del territorio.
E’ però anche necessario adeguare le potenzialità assistenziali dei Pronto Soccorso
migliorando la risposta del territorio alle esigenze dell’acuzie sanitaria.
Per raggiungere questo scopo si può prevedere la collocazione di un ambulatorio di
continuità assistenziale nei pressi del Pronto Soccorso con organico dedicato (medici di
continuità assistenziale, medici di emergenza territoriale o altri sanitari opportunamente
addestrati). L’ambulatorio viene alimentato dal triage del Pronto Soccorso, riguarda le
13
prestazioni differibili e proprie del territorio, deve essere aperto negli orari del servizio di
continuità assistenziale, e nei DEA di 2° livello per 24 ore al giorno.
In questo contesto è anche opportuno promuovere l’apertura di studi medici di medicina
generale sul territorio, che assicurino la presenza del medico per 12 ore al giorno e per 7
giorni alla settimana, da attuare anche attraverso gli studi medici associati.
Progetto 8 “Promuovere la ricerca biomedica e biotecnologica e quella sui servizi
sanitari”
Il convincimento che le sfide più importanti si possano vincere soltanto con l’aiuto della
ricerca e dei suoi risultati ci spinge a considerare il finanziamento della ricerca un vero e
proprio investimento e la sua organizzazione un obiettivo essenziale.
Alla luce di tutto questo, aver mantenuto la spesa pubblica italiana per la ricerca tra le più
basse in Europa, rispetto al prodotto interno lordo nazionale, ha rappresentato un grave
danno per il nostro Paese. Da più parti si è elevato a questo proposito il monito che,
uscendo dalle difficoltà economiche momentanee, l'Italia debba approntare un piano
strategico di rilancio della ricerca che inizi con l'attribuire a questo settore maggiori risorse
pubbliche. Tuttavia va anche ricordato che il rilancio della ricerca non dipende solo dalla
disponibilità di fondi pubblici.
Obiettivi strategici sono:
- la semplificazione delle procedure amministrative e burocratiche per la autorizzazione ed
il finanziamento della ricerca;
- la individuazione di fonti e canali aggiuntivi di finanziamento della ricerca biomedica e
sanitaria nel settore privato (fondazioni, donazioni, industria, capitali di rischio);
- la riqualificazione degli IRCCS come Centri di ricerca biomedica, anche riuniti in rete e tra
loro associati;
- la identificazione di tutte le possibili modalità di interagire con la ricerca ed i capitali
privati così da integrare i fondi pubblici per la ricerca con fondi privati;
- la collaborazione tra MIUR e Ministero della Salute, con particolare riferimento ai progetti
strategici, già individuati, della post genomica, della nuova ingegneria biomedica, delle
neuroscienze, della qualità alimentare e del benessere;
- la realizzazione di reti strutturali e progetti coordinati fra diverse Istituzioni collegate con
il Ministero della Salute (ISS, IRCCS, IZS, ISPESL) anche per l’accesso al Sesto
Programma Quadro Europeo di Ricerca, ai fondi del PNR 2001-2003 e ai fondi per i
progetti di ricerca industriale ex Legge 297/99.
Del tutto recentemente, il Ministero per l’Istruzione, l’Università e la Ricerca ha presentato al
CIPE per approvazione le Linee Guida del Governo per lo sviluppo della ricerca scientifica e
tecnologica, che includono e ampliano gli obiettivi suddetti.
14
Progetto 9 “Promuovere gli stili di vita salutari, la prevenzione e la
comunicazione pubblica sulla salute”
Le conoscenze scientifiche attuali dimostrano che l’incidenza di molte patologie è legata agli
stili di vita. Infatti:
a) oltre ad una crescente quota di popolazione in sovrappeso, numerose patologie sono
correlate, ad esempio, ad una alimentazione non corretta. Tra queste, alcuni tipi di
tumori, il diabete mellito di tipo 2, le malattie cardiovascolari ischemiche, l’artrosi,
l’osteoporosi, la litiasi biliare, lo sviluppo di carie dentarie e le patologie da carenza
di ferro e carenza di iodio. Una caratteristica della prevenzione delle malattie
connesse all’alimentazione è la necessità di coinvolgere gran parte della popolazione
e non soltanto i gruppi ad alto rischio.
b) Nell’ambito dell’adozione di stili di vita sani, l’attività fisica riveste un ruolo
fondamentale.
c) Il fenomeno del tabagismo è molto complesso sia per i risvolti economici, psicologici
e sociali sia, soprattutto, per la pesante compromissione della salute e della qualità
di vita dei cittadini, siano essi soggetti attivi (fumatori) o soggetti passivi (non
fumatori).
L’odierna normativa nazionale sul divieto di fumo nei locali pubblici risulta essere
limitata ed inefficace nella sua applicazione. Il divieto di fumo, così come
regolamentato sostanzialmente dalla Legge n. 584 dell’11 novembre 1975 e dalla
direttiva 14 dicembre 1995, non è sufficiente. Questa normativa, nel tentativo di
puntualizzare i luoghi ove è vietato fumare e di affidare il rispetto delle norme a
responsabili sprovvisti dall’autorità necessaria, ha di fatto creato incertezze e
difficoltà che hanno vanificato lo sforzo del legislatore.
Al fine di attivare una più incisiva azione di dissuasione, con l’articolo 52, comma 20,
della Legge Finanziaria 2002 sono state inasprite le sanzioni per i trasgressori del
divieto di fumo prevedendo una sanzione amministrativa da 25 a 250 Euro,
raddoppiata qualora la violazione sia commessa in presenza di una donna in
evidente stato di gravidanza o di bambini fino a 12 anni. Contemporaneamente,
sono state intensificate e stimolate procedure di controllo e rilevamento delle
infrazioni da parte delle forze dell’ordine.
Un ulteriore sviluppo normativo dovrà prevedere l’applicazione del divieto di fumo a
tutti gli spazi confinati, ad eccezione di quelli adibiti ad uso privato e a quelli
eventualmente riservati ai fumatori che dovranno essere dotati di appositi dispositivi
di ricambio d’aria per tutelare la salute dei lavoratori addetti.
Gli interventi legislativi, comunque, devono essere coniugati con maggiori e più
incisive campagne di educazione ed informazione sui danni procurati dal fumo attivo
e/o passivo, la cui efficacia potrà essere maggiore se verranno rivolte soprattutto ai
giovani in età scolare e alle donne in età fertile.
La pianificazione e la realizzazione di efficaci campagne di comunicazione da parte delle
Istituzioni si scontra con l’affollamento di messaggi sui mass media, sostenuto da forti
investimenti delle aziende a fini commerciali.
15
I fondi pubblici non possono competere con le somme a disposizione delle imprese private e
ciò minimizza giocoforza l’impatto e i risultati delle campagne di comunicazione istituzionale,
riducendone la visibilità presso il pubblico.
Si ritiene pertanto di adottare, come progetto sperimentale da avviare a partire già nel primo
semestre del 2002, il modello di comunicazione istituzionale, poggiato su tecniche di
pubblicità sociale, già sperimentato, in particolare nel mondo anglosassone. Tali tecniche
sono basate su un’alleanza tra le finalità pubbliche e sociali e le finalità di aziende private per
costruire una partnership con una o più “cause”, per il raggiungimento di un beneficio
comune, nell’ovvia esclusione dei conflitti diinteresse.
Rispetto ad altre forme di collaborazione del pubblico con il privato, il nuovo modello di
comunicazione istituzionale protegge l’indipendenza e la correttezza della comunicazione
della causa poiché è interesse dell’azienda partner che l’operazione sia di alto profilo.
Il vantaggio per una comunicazione istituzionale effettuata secondo questo modello, oltre
all’ovvio aumento delle risorse finanziarie a disposizione, è la possibilità che il messaggio sia
trainato presso un determinato target dalla credibilità di un marchio noto e familiare, che
venga associato alla causa nella sua comunicazione.
Progetto 10 “Promuovere un corretto uso dei farmaci e la farmacovigilanza”
L’impiego razionale dei medicinali rappresenta un obiettivo prioritario e strategico del Piano
Sanitario Nazionale, per il ruolo che il farmaco riveste nella tutela della salute.
L’attuazione del Programma Nazionale di Farmacovigilanza, costituisce lo strumento
attraverso il quale valutare costantemente il profilo di beneficio-rischio dei farmaci, e
garantire la sicurezza dei pazienti nell’assunzione dei medicinali. Più in generale, bisogna
puntare sul buon uso del farmaco.
Gli obiettivi strategici nel settore del buon uso del farmaco possono essere così definiti:
- offrire un supporto sistematico alle Regioni sull’andamento mensile della spesa
farmaceutica, attraverso informazioni validate ed oggettive, che consentano un puntuale
monitoraggio della spesa, la valutazione dell’appropriatezza della farmacoterapia e
l’impatto delle misure di contenimento della spesa adottate dalle Regioni in base alla
Legge 405 del 2001;
- attuare il Programma Nazionale di Farmacovigilanza per assicurare un sistema capace di
evidenziare le reazioni avverse e di valutare sistematicamente il profilo di rischiobeneficio
dei farmaci;
- porre il farmaco fra i temi nazionali dell’Educazione Continua in Medicina (ECM);
rafforzare l’informazione sui farmaci rivolta agli operatori sanitari e ai cittadini;
promuovere l’appropriatezza delle prescrizioni e dei consumi.
16
PARTE SECONDA
GLI OBIETTIVI GENERALI
Questa seconda parte è suddivisa in quattro Capitoli: la promozione della salute, l'ambiente
e la salute, la sicurezza alimentare e la sanità veterinaria, la salute e il sociale.
1. LA PROMOZIONE DELLA SALUTE
Nella prima parte "La promozione della salute" vi sono i Capitoli "Vivere a lungo", "Vivere
bene", "Combattere le malattie”. Tra le malattie da combattere figurano al primo posto le
malattie cardiovascolari e cerebrovascolari che rappresentano ancora il 43% dei decessi
registrati in Italia, ed i tumori che, malgrado i progressi fatti, ancora costituiscono il 28%
circa della mortalità complessiva.
I tumori
Le morti prevenibili da tumori sono legate ad una modificazione di alcuni stili di vita e ancora
vi è spazio per agire per prevenire il fumo, il consumo di alcool, le abitudini alimentari
scorrette e l'esposizione a particolari fattori di rischio. Altro tema sul quale è necessario
concentrare più sforzi sono gli screening di comprovata efficacia e in particolare il pap-test,
la mammografia, la ricerca del sangue occulto nelle feci.
Tra i problemi che affliggono l'erogazione di un'adeguata assistenza ai cittadini affetti da
neoplasia maligna, oltre alla mancanza di “ospedalizzazione a domicilio” vi è la scarsità di
adeguate strutture ospedaliere specializzate nel trattamento del cancro. Gli aspetti negativi
di questa situazione sono essenzialmente due: 1) la gran variabilità della casistica clinica non
consente ai tecnici di focalizzare il loro interesse professionale alla diagnosi e terapia di
questa patologia; 2) la necessità di fronteggiare tutte le patologie e la limitatezza dei fondi
disponibili non consentono a tutti di acquisire le apparecchiature necessarie per erogare
prestazioni adeguate (basta pensare alle poche Unità di Radioterapia presenti sul territorio
nazionale).
L'oncologia è una disciplina che coinvolge molti enti con diverso interesse principale, perché
non essendo ancora nota la causa etiologica è necessaria un'intensa attività di ricerca che
17
comprende la ricerca di base, la ricerca cosiddetta traslazionale e la ricerca clinica
propriamente detta. In questo complesso d'attività sono coinvolti:
1) l'Università e il Consiglio Nazionale delle Ricerche, che hanno come obiettivo
fondamentale la ricerca di base,
2) gli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS), il cui bersaglio
principale è la ricerca traslazionale,
3) gli Ospedali che, assieme agli IRCCS e alle Cliniche Universitarie, si occupano anche
di ricerca clinica,
4) le organizzazioni non governative di supporto.
Si è però venuta a creare una situazione non bene definita, perché questa suddivisione di
compiti ha confini molto sfumati essenzialmente perché manca un accordo formale sulla
suddivisione di compiti tra enti diversi.
Sia a livello nazionale sia a livello europeo sta per iniziare una discussione su questo
problema: l'Unione Europea ha lanciato un'iniziativa definita "European Cancer Research
Iniziative” ,il cui scopo essenziale è di aiutare la Commissione Europea a definire i contenuti
della parte oncologica del VI Programma Quadro. Nel corso della discussione è però emersa
come prioritaria la necessità di risolvere i problemi dei pazienti a livello individuale e di salute
pubblica. La proposta formulata dalle Associazioni Oncologiche europee è di definire un
modello di centro oncologico cui dare tre obiettivi prioritari:
1) migliorare gli standard di prevenzione, diagnosi e terapia;
2) favorire la parità tra pazienti e medici;
3) migliorare l'accesso alle strutture di diagnosi e cura in Europa.
Nell'ambito di tali proposte, si intendono perseguire in Italia una serie di iniziative, d'intesa
con le Associazioni per la ricerca e per la lotta contro il cancro, finalizzate a:
- realizzare un Progetto-modello di Centro Oncologico traslazionale (IRCCS);
- affiancare agli IRCCS esistenti una serie di Centri Ospedalieri, creando così una rete
oncologica in grado di soddisfare le richieste emergenti dal territorio, di favorire la
collaborazione tra Enti e l’uso di protocolli avanzati, di costituire un’“Alleanza contro i
tumori”, allargando la partecipazione anche alle Associazioni e al volontariato;
- realizzare un progetto di formazione del personale anche attraverso scambi di
conoscenze ed esperienze e il rientro di personale dall’estero.
Le cure palliative
Lo sviluppo delle cure palliative è legato, ad alcuni fattori di fondamentale importanza. Tra
questi: la possibilità di un maggior controllo del dolore cronico maligno attraverso il
ponderato uso di analgesici comuni, inclusi gli oppiacei, ed il riconoscimento che i disturbi
neuro-psichici richiedono un trattamento aggiuntivo con anticonvulsivanti o antidepressivi;
un miglior controllo degli altri sintomi presenti; un maggior rispetto della volontà del paziente
circa la propria morte; una miglior comprensione del ruolo dell’alimentazione e
dell’idratazione artificiale nei pazienti terminali; un rifiuto dell’accanimento terapeutico.
18
In particolare, attraverso una corretta valutazione e scelta degli analgesici, circa l’80% del
dolore da cancro può essere contenuto con farmaci poco costosi che il paziente può
autonomamente somministrarsi per bocca ad intervalli regolari, permettendo una assunzione
più agevole e praticabile anche a domicilio, seppure con dosaggi aumentati rispetto alla
somministrazione per iniezione.
Il nostro Paese è all’ultimo posto in Europa nell’utilizzazione dei farmaci oppiacei e presenta
ancora una insufficiente diffusione sull’intero territorio dei Centri per le cure palliative con
una distribuzione geografica disomogenea. Questa situazione fa sì che solo un numero
limitato di pazienti terminali possano giovarsi di cure efficaci ed integrate del dolore e della
sofferenza psicologica, mentre la maggior parte di essi sono condannati a mesi di sofferenze
evitabili.
Ai fini di promuovere la diffusione delle cure palliative è necessario quindi:
- rivedere alcuni aspetti normativi riguardo all’uso di farmaci antidolorifici, migliorando
la disponibilità degli oppiacei, semplificando la prescrizione medica, prolungando il
ciclo di terapia e rendendone possibile l’uso anche a casa del paziente;
- individuare precise Linee Guida in materia di terapia antalgica per prevenire gli abusi
ed orientare il medico nella prescrizione:
- promuovere una maggiore diffusione dei Centri ed una maggiore integrazione tra
l’Ospedale ed il domicilio del malato;
- avviare la formazione dei medici e del personale sanitario con l’istituzione di
insegnamenti di medicina palliativa, analogamente a quanto avviene negli altri Paesi
europei.
Il diabete e le malattie metaboliche
L’incidenza del diabete di tipo 2 è in aumento in tutto il mondo occidentale ed anche nei Paesi
in via di sviluppo e, la diagnosi viene posta in fase più precoce rispetto al passato. A questo
va aggiunto che l’obesità è pure in forte aumento ed occorre ricordare che essa è un alto
fattore di rischio per la comparsa della malattia diabetica.
Vi è oggi ampia evidenza che il counselling individuale finalizzato a ridurre il peso corporeo, a
migliorare la dieta (riducendone il contenuto di grassi totali e di grassi saturi e aumentandone
il contenuto in fibre) e ad aumentare l’attività fisica, riduce il rischio di progressione verso il
diabete del 58% in 4 anni.
In questo settore, gli interventi devono essere orientati a sviluppare:
- sistemi di sorveglianza per definire meglio e monitorizzare la dimensione della malattia
diabetica;
- counselling individuale ad opera dei Centri per il diabete finalizzato al miglioramento
degli stili di vita; tali Centri potrebbero assumere anche il ruolo di Centri per la lotta
all’obesità;
- programmi di prevenzione primaria e secondaria, in particolare per il diabete mellito in
età evolutiva, con l’obiettivo di ridurre i tassi di ospedalizzazione ed i tassi di
menomazione permanente (cecità, amputazioni degli arti);
19
- strategie per migliorare la qualità di vita dei pazienti, attraverso programmi di
educazione ed informazione sanitaria.
Le malattie respiratorie e allergiche
Si rende necessario migliorare, tramite sistemi di sorveglianza mirati, la conoscenza della
epidemiologia dell’asma e delle patologie allergiche e del ruolo etiologico di fattori genetici,
personali ed ambientali, nonché dell’efficacia dei metodi per la riduzione dell’esposizione agli
allergeni nell’ambiente e negli alimenti e la valutazione dell’impatto di tali metodi sulla
salute. E’ necessario inoltre promuovere campagne di educazione e formazione per il
personale sanitario, e per i pazienti e le loro famiglie.
Le malattie reumatiche ed osteoarticolari
Tali patologie rappresentano la più frequente causa di assenze lavorative e la causa del 27%
circa delle pensioni di invalidità attualmente erogate in Italia. Il numero delle persone affette
è stimato in circa 6 milioni, pari al 10% della popolazione generale.
L’osteoporosi è una patologia del metabolismo osseo di prevalenza e incidenza in costante
incremento che rappresenta un rilevante problema sanitario. La malattia coinvolge un terzo
delle donne tra i 60 e i 70 anni e due terzi delle donne dopo gli 80 anni, e si stima che il
rischio di avere una frattura da osteoporosi sia nella vita della donna del 40% contro un
15% nell’uomo. Particolarmente temibile è la frattura femorale per l’elevata mortalità (dal 15
al 30%) e per le invalidanti complicanze croniche ad essa associate. I più noti e importanti
fattori di rischio per l’osteoporosi sono la presenza di fratture patologiche nel gentilizio, la
presenza anamnestica di fratture da traumi di lieve entità, la menopausa precoce per la
donne, l’amenorrea prolungata, il fumo, l’abuso di alcolici, la magrezza, l’uso di
corticosteroidi, il malassorbimento intestinale, alcune patologie endocrine. Nessuna terapia
consente di recuperare la massa ossea persa, ma solo di bloccarne la progressione
riducendo il rischio di fratture. Fondamentale quindi è la prevenzione, con misure volte a
migliorare lo stile di vita alimentare e fisico nei soggetti giovani e anziani, e con l’impiego
delle metodiche densitometriche nei soggetti a rischio.
Le malattie rare
Le malattie rare costituiscono un complesso di oltre 5000 patologie, spesso fatali o croniche
invalidanti, che rappresentano il 10% delle patologie che affliggono l’umanità. Malattie
considerate rare nei Paesi occidentali sono, a volte, molto diffuse nei Paesi in via di
sviluppo.
Per la loro rarità, queste malattie sono difficili da diagnosticare e, spesso, sono pochi i Centri
specializzati nella diagnosi e nella cura; per molte di esse, inoltre, non esistono ancora
terapie efficaci.
20
Rispetto a tali problematiche, il Decreto Ministeriale 18 maggio 2001 n. 279, emanato in
attuazione dell’art. 5, comma 1, lettera b) del Decreto Legislativo 29 aprile 1998 n. 124,
prevede:
- l’istituzione di una rete nazionale dedicata alle malattie rare, mediante la quale
sviluppare azioni di prevenzione, attivare la sorveglianza, migliorare gli interventi
volti alla diagnosi e alla terapia, promuovere l’informazione e la formazione, ridurre
l’onere che grava sui malati e sulle famiglie. La rete è costituita da presidi
accreditati, appositamente individuati dalle Regioni per erogare prestazioni
diagnostiche e terapeutiche. Tra questi vengono individuati i Centri interregionali di
riferimento per le malattie rare, ai quali è affidato, oltre alle funzioni assistenziali, il
coordinamento dei presidi secondo metodologie condivise (Registro interregionale,
consulenza e supporto ai medici del Servizio Sanitario Nazionale, scambio di
informazioni, attività formativa degli operatori sanitari e di informazione per i
cittadini);
- l’ottimizzazione del Registro delle Malattie Rare, istituito presso l’Istituto Superiore di
Sanità, per poter avere a livello nazionale dati sulla prevalenza, incidenza e fattori di
rischio delle diverse malattie rare;
- la definizione di 47 gruppi di malattie comprendenti 284 patologie (congenite e
acquisite) ai fini dell’esenzione dalla partecipazione al costo delle prestazioni
sanitarie correlate;
- la promozione di protocolli diagnostici e terapeutici comuni, lo sviluppo delle attività
di ricerca tese al miglioramento delle conoscenze e la realizzazione di programmi di
prevenzione.
Le malattie trasmissibili prevenibili con la vaccinazione
Ottimi risultati si sono registrati recentemente in Italia in termini di controllo di alcuni
malattie prevenibili con le vaccinazioni.
Occorre procedere con decisione nella direzione della attuazione degli obiettivi adottati
dall'OMS per questo gruppo di malattie:
- entro il 2007 il morbillo dovrebbe essere eliminato ed entro il 2010 tale eliminazione deve
essere certificata in ogni Paese;
- entro l'anno 2010 tutti i Paesi dovrebbero avere un'incidenza inferiore ad 1 per 100.000
abitanti per parotite, pertosse e malattie invasive causate da Haemophilus influenzae di
tipo B.
Essendo disponibili per queste malattie vaccini efficaci, questi risultati possono essere
conseguiti attraverso una serie di iniziative che consentano il raggiungimento di appropriate
coperture vaccinali. In tale quadro è anche importante:
- individuare ed effettuare indagini rapide riguardanti gli eventi epidemici;
- sorvegliare la frequenza di eventi avversi associabili a vaccinazione;
- sorvegliare le infezioni nosocomiali e quelle a trasmissione iatrogena;
- controllare le patologie infettive acquisite in occasioni di viaggi;
- diffondere le informazioni sulla frequenza e prevenzione delle malattie infettive;
21
- partecipare efficacemente al sistema di sorveglianza epidemiologico per il controllo delle
malattie infettive dell'Unione Europea;
La sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS) e le malattie a trasmissione
sessuale
In Italia, il numero cumulativo di casi di AIDS segnalati dall’inizio dell’epidemia ha raggiunto
quota 50.000, ma a partire da metà del 1996 si è osservato un decremento nel numero di
nuovi casi, dovuto in parte all’effetto delle terapie anti-retrovirali ed in misura minore agli
effetti della prevenzione. I sistemi di sorveglianza delle nuove diagnosi di infezione da HIV,
attivi in alcune Regioni italiane, suggeriscono che l’incidenza di nuove infezioni si è
stabilizzata negli ultimi anni e a differenza di quanto accadeva tra la fine degli anni 80 e
l’inizio degli anni ’90 non tende più alla diminuzione.
A tal fine, le azioni prioritarie da attuare sono:
- il miglioramento della sorveglianza e del monitoraggio dell'infezione da HIV;
- il contrasto della trasmissione dell’HIV e degli altri agenti infettivi;
- il miglioramento della qualità della vita delle persone infette da HIV;
- la riduzione di comportamenti sessuali a rischio e la promozione di campagne di
promozione della salute specialmente nella popolazione giovanile;
- lo sviluppo del vaccino con interventi a favore della ricerca che prevedano il cofinanziamento
pubblico-privato;
- il reinserimento sociale dei pazienti con infezione da HIV.
L'inserimento sociale delle persone affette da AIDS trattate precocemente e la cui attesa di
vita è molto prolungata, è un problema che dovremo affrontare con maggior energia nel
prossimo futuro.
Gli incidenti e le invalidità
I dati relativi agli incidenti stradali, indicano un incremento a partire dalla fine degli anni '80,
soprattutto nel Nord dell’Italia, con un quadro che comporta circa 8.000 morti, 170.000
ricoveri, 600.000 prestazioni di pronto soccorso ogni anno, cui fanno riscontro circa 20.000
invalidi permanenti. Il fenomeno costituisce ancora la prima causa di morte per i maschi
sotto i 40 anni e una delle cause maggiori di invalidità (più della metà dei traumi cranici e
spinali sono attribuibili a questi eventi).
Gli interventi principali di prevenzione riguardano:
- la utilizzazione del casco da parte degli utenti di veicoli a motore a due ruote;
- gli standard di sicurezza dei veicoli;
- l’uso corretto dei dispositivi di sicurezza (cinture e seggiolini);
- le migliori condizioni di viabilità (segnaletica stradale, illuminazione, condizioni di
percorribilità) nelle zone ad alto rischio di incidenti stradali;
22
- la promozione della guida sicura mediante campagne mirate al rispetto dei limiti di
velocità e della segnaletica stradale nonché alla riduzione della guida sotto l’influsso
dell’alcool;
- il potenziamento del trasporto pubblico.
Anche il fenomeno degli incidenti domestici e del tempo libero mostra un andamento in
continua crescita, con un numero di casi di circa 4.000.000 per anno, che coinvolgono
soprattutto ultrasessantacinquenni e donne. Si stima che circa la metà di questi incidenti
avvenga in casa o nelle pertinenze (incidenti domestici).
Le lesioni cerebrali
Tra gli obiettivi strategici va considerato quello di realizzare sul territorio nazionale una rete
di presidi per il trattamento delle lesioni cerebrali, ognuno dei quali costituito da tre distinte
subunità:
1) Unità neurologica e neurochirurgica per il trattamento del paziente acuto, dotata di
terapia semi-intensiva (Stroke Unit);
2) al termine del periodo acuto diviene necessario il ricovero del paziente in Unità di
Riabilitazione per il recupero. In questo ambito è necessario sviluppare anche una
ricerca atta a realizzare nuovi metodi e nuovi presidi e protesi capaci di migliorare il
recupero del malato;
3) se il recupero non è possibile o è stato ottenuto quello possibile, il paziente deve
essere avviato a Strutture Residenziali o a domicilio. Le terapie domiciliari sono
possibili, ma gravano pesantemente sulle famiglie e quindi spesso si rendono difficili.
Nei presidi per la cronicità a tempo indeterminato devono afferire anche i soggetti in
stato vegetativo permanente provenienti dalle Rianimazioni, che oggi si trovano in
difficoltà non sapendo dove trasferire questi pazienti.
Il complesso delle tre Unità sopra descritte, riunite in rete sul modello già descritto per i
Centri di Eccellenza, può costituire lo strumento adatto a risolvere un grave problema
assistenziale e nel contempo a sviluppare una ricerca applicata che in questo ambito è
estremamente necessaria.
La medicina trasfusionale
Gli obiettivi primari dell’autosufficienza regionale e nazionale, i più elevati livelli di sicurezza
uniformi su tutto il territorio nazionale e la definizione dei Livelli Essenziali di Assistenza
trasfusionale possono essere ottenuti attraverso un nuovo modello di sistema trasfusionale,
il cui quadro organizzativo sia di tipo dipartimentale con criteri di funzionamento e di
finanziamento definiti sulla base:
- delle attività di produzione, comprendenti la selezione ed i controlli periodici del donatore,
la raccolta, la lavorazione, la validazione, la conservazione ed il trasporto del sangue e
degli emocomponenti, comprese le cellule staminali da sangue periferico e placentare
23
(sangue da cordone ombelicale), nonché la raccolta di plasma da destinare alla
preparazione degli emoderivati;
- delle attività di servizio, quali l’assegnazione e la distribuzione del sangue e dei suoi
prodotti, anche per l’urgenza.
Con l’intervento insostituibile delle Associazioni di Donatori Volontari di Sangue, e delle
relative Federazioni, va incrementato in tutto il territorio nazionale il numero dei donatori
volontari periodici e non remunerati per eliminare le carenze di sangue ancora esistenti in
alcune Regioni.
I trapianti di organo
Nel corso dell’ultimo triennio l’incremento complessivo del numero di donazioni e della
qualità dei trapianti in Italia ha portato il nostro Paese al livello delle principali Nazioni
europee, e il numero dei donatori di organo è aumentato del 42,3%, con un incremento
complessivo del 27,4% del numero dei trapianti.
Per il prossimo futuro, inoltre, occorre procedere a:
- ridurre il divario fra le Regioni in termini di attività di reperimento donatori per
raggiungere il numero delle 30 donazioni per milione di abitanti;
- prevedere sistemi di verifica sull'efficacia dell'attività dei coordinatori locali,
contestualmente al riconoscimento di incentivi;
- prevedere che in tutte le rianimazioni si attuino procedure per reperire tutti i potenziali
donatori e sia disponibile la commissione per l’accertamento della morte;
- predisporre, per i familiari dei soggetti sottoposti ad accertamento di morte, un supporto
psicologico e di aiuto;
- valutare e rendere pubblici i risultati delle attività di prelievo e trapianto di organi;
- rendere sempre più oggettivi e trasparenti i criteri di ammissione del paziente al
trapianto.
24
2. L'AMBIENTE E LA SALUTE
L'inquinamento atmosferico
Secondo una serie di studi e valutazioni condotte dalle agenzie ambientali europee e
nazionale, il trasporto su strada contribuisce mediamente in Europa al 51% delle emissioni
degli ossidi di azoto, al 34% di quelle composti organici volatili e al 65% di quelle del
monossido di carbonio.
I due principali inquinanti secondari, le polveri fini e l’ozono, che sono prodotti, attraverso
una serie complessa di reazioni chimiche, dai tre inquinanti prima citati, sono pertanto
imputabili, anch’essi in misura preponderante, al traffico su strada.
Il peso del traffico non deve comunque far dimenticare che un contributo all’inquinamento
atmosferico urbano, minore in valore percentuale ma pur sempre alto in valore assoluto,
deriva dagli impianti di riscaldamento; questo comparto, ora che l’industria pesante ha
praticamente abbandonato l’ambiente urbano, resta, insieme al traffico, di fatto l’unica
sorgente di inquinamento. In questo settore il diffondersi degli oli combustibili leggeri e
soprattutto del metano (che, a parte gli ossidi di azoto, non emette praticamente altri
inquinanti) e il rafforzamento delle politiche di controllo sugli impianti in esercizio da parte
delle Autorità istituzionali (Province e Comuni) hanno portato a marcati miglioramenti, anche
se molto ancora potrebbe e dovrebbe essere fatto (è oggi realisticamente immaginabile,
grazie ad una ulteriore estensione dell’impiego del metano e a politiche di obblighi di
manutenzione, un dimezzamento delle emissioni da impianti di riscaldamento entro un
periodo di 3-5 anni).
Recenti studi epidemiologici indicano che l’inquinamento atmosferico nell'ambiente esterno
delle 8 maggiori città italiane ha un impatto sanitario rilevante in termini di mortalità, ricoveri
ospedalieri per cause cardiovascolari e respiratorie e prevalenza di malattie respiratorie
(WHO-ECEH, 2000).
Per quanto riguarda gli aspetti essenziali di prevenzione e protezione ambientale nelle aree
urbane è prioritario assicurare il rispetto delle vigenti normative in materia di livelli consentiti
di inquinanti atmosferici e adoperarsi per abbattere ulteriormente i livelli del PM10 e degli
altri inquinanti. Il conseguimento di questo obiettivo richiede una serie complessa di
interventi essenzialmente relativi al traffico automobilistico e agli impianti di riscaldamento.
In particolare, è importante:
- ridurre l’inquinamento atmosferico da fonti mobili, utilizzando strumenti legislativi e
fiscali, migliorando le caratteristiche tecniche dei motori dei veicoli e la qualità dei
carburanti;
- ridurre l’inquinamento atmosferico da fonti fisse, identificando le fonti inquinanti,
migliorando i processi tecnici e cambiando i combustibili.
25
A causa della struttura particolare delle città italiane, questi due tipi di interventi dovrebbero
prevedere restrizioni severe e regolamentazione del traffico nelle aree urbane, tenendo in
considerazione tutte le tipologie di veicoli esistenti compresi i ciclomotori. Questi ultimi
contribuiscono significatamene all’aumento delle concentrazioni di inquinanti pericolosi,
come il benzene.
L’amianto
E' prioritaria una più idonea strategia per la bonifica dei siti dove si lavorava amianto e una
verifica della presenza di residui di amianto nelle vicinanze degli stessi.
E’ necessario, poi, elaborare ed adottare d’intesa con le Regioni, Linee Guida che indirizzino
l'attività delle strutture sanitarie a fini di prevenzione secondaria e sostegno psico-sociale
delle persone esposte in passato ad amianto.
Il benzene
Per quanto riguarda il benzene, nota sostanza cancerogena per l'uomo, l'esposizione avviene
principalmente nell'ambiente esterno urbano a causa degli scarichi dei motori a combustione
a benzina. Il benzene può essere emesso sia come prodotto di combustione (che si forma a
partire dai componenti della benzina, in particolare idrocarburi aromatici), sia in forma di
sostanza incombusta, per evaporazione dal carburatore, dal serbatoio e da altre parti dei
veicoli.
Inoltre, il fumo di sigaretta contiene quantitativi di benzene significativi e considerevolmente
variabili.
L'obiettivo di ridurre l'esposizione al benzene è stato perseguito con successo attraverso la
riduzione del benzene nella benzina, ma è indispensabile continuare con determinazione gli
sforzi intrapresi.
La carenza dell'acqua potabile e l'inquinamento
In Italia solo i due terzi della popolazione riceve quantità sufficienti di acqua per tutto l’anno,
circa il 13% degli Italiani non riceve sufficienti quantità di acqua per un quarto dell’anno e
circa il 20% per due/tre quarti dell'anno. Queste proporzioni non sono ugualmente
distribuite in tutto il Paese. La maggior parte delle popolazioni del Sud e delle isole non
riceve quantità sufficienti di acqua per almeno un quarto dell’anno.
Inoltre, in molte parti d’Italia, per le quali vi sono dati disponibili, i caratteri organolettici
dell’acqua come torbidità, colore, odore o sapore sono di bassa qualità. La proporzione della
popolazione che non beve o beve raramente acqua di rubinetto è elevata in tutte le aree,
soprattutto nelle Isole e nel Nord-Ovest.
Per il prossimo futuro occorrerà promuovere le seguenti azioni:
26
- riduzione della quantità di prodotti impiegati in agricoltura e autorizzazione dei preparati
fitosanitari a minor impatto sull’ambiente e sulla salute umana;
- adozione di norme per la buona pratica agricola, al fine di ottimizzare l’impiego dei
fertilizzanti e minimizzare il loro impatto sull’ambiente;
- promozione di un adeguato monitoraggio ambientale ed indagini epidemiologiche mirate,
con particolare riferimento ai potenziali effetti dei contaminanti chimici dell’acqua potabile
sulle funzioni riproduttive umane;
- miglioramento delle tecnologie acquedottistiche;
- ottimizzazione della gestione e incentivazione della ricerca di disinfettanti
integrativi/alternativi del cloro e suoi composti;
- incremento della tutela delle acque dai processi di contaminazione urbana, agricola o
industriale;
- intensificazione dell’attività di controllo dei contaminanti chimici, fisici e biologici delle
acque potabili con l’esclusione dell’erogazione delle acque non conformi.
Le acque di balneazione
La normativa italiana relativa al controllo delle acque di balneazione ha fissato, per gli
indicatori microbiologici di contaminazione fecale, valori limite più restrittivi rispetto alla
direttiva europea attualmente in vigore. Inoltre, la normativa italiana considera “acque di
balneazione” le acque nelle quali la balneazione è espressamente autorizzata dalle Autorità e
non vietata, mentre la direttiva europea stabilisce che “acque di balneazione” sono da
considerarsi quelle dove la balneazione è praticata da “un congruo numero di bagnanti”.
Questo comporta che in Italia, tranne le zone non idonee per motivi diversi
dall’inquinamento e quelle verificate non idonee per inquinamento, tutte le acque siano
considerate “acque di balneazione”.
L’osservazione dei dati raccolti negli ultimi anni, durante le campagne di controllo svolte in
base al Decreto Presidente della Repubblica 8 giugno 1982 n. 470, porta a riconoscere un
generale miglioramento della qualità delle acque delle zone costiere italiane, valutato in
funzione dei chilometri di costa controllata.
L'inquinamento acustico
Per quanto riguarda gli ambienti di vita, la limitazione del traffico veicolare è soltanto uno
degli strumenti per migliorare la qualità ambientale, e deve essere integrata con altre azioni
individuabili a livello locale, nazionale, comunitario: dalla pianificazione urbanistica, alla
viabilità e conseguente regolamentazione dei flussi di traffico, al potenziamento dell’attività
di controllo e repressione dei comportamenti eccessivi, agli incentivi economici per lo
svecchiamento dei mezzi di trasporto pubblici e privati, al finanziamento dell’attività di
ricerca per lo sviluppo di veicoli a basse emissioni di inquinanti, alla zonizzazione acustica
(classificazione del territorio comunale in 6 classi in base ai livelli di rumore), al piano di
risanamento acustico comunale.
27
La medicina del lavoro
Per quanto riguarda l’esposizione negli ambienti di lavoro, quattro sono i livelli di azione da
intraprendere per ridurre l’incidenza sulla salute di questo fattore di rischio:
- migliorare gli standard di sicurezza e tutela aziendali tramite una più corretta e puntuale
applicazione della vigente legislazione;
- incrementare l’azione di vigilanza a livello territoriale sulla corretta applicazione della
vigente legislazione in materia, in particolare destinando almeno l’1% del personale
sanitario della ASL alla vigilanza e alla prevenzione, come previsto da “Carta 2000”;
- completare l’emanazione dei decreti attuativi previsti dal Decreto Legislativo 15 agosto
1991 n. 277;
- attuare una politica di incentivazione e di sostegno alle aziende che vogliono attuare
interventi di riduzione della rumorosità negli ambienti di lavoro.
I macrosettori produttivi ai quali dovrebbero essere indirizzati i maggiori sforzi sono quello
metalmeccanico, quello edile e quello estrattivo.
I campi elettromagnetici
Negli ultimi anni si è verificato un aumento senza precedenti del numero e della varietà di
sorgenti di campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici utilizzate a scopo individuale,
industriale e commerciale. Tali sorgenti comprendono, oltre le linee di trasposto e
distribuzione dell’energia elettrica, apparecchiature per uso domestico, personal computers
(dispositivi operanti tutti alla frequenza di 50 Hz), telefoni cellulari con le relative stazioni
radio base, forni a microonde, radar per uso civile e militare (sorgenti a radio frequenza e
microonde), nonché altre apparecchiature usate in medicina, nell’industria e nel commercio.
Tali tecnologie, pur di grande utilità, generano continue preoccupazioni per i possibili rischi
sanitari della popolazione.
Un recente rapporto scientifico dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS, 1999) ha
evidenziato che, secondo la letteratura scientifica oggi disponibile, non sussiste alcuna prova
convincente del fatto che l’esposizione a campi di radio-frequenza (RF) possa abbreviare la
vita dell’uomo o promuovere l’insorgenza del cancro. Tuttavia, lo stesso rapporto ha
sottolineato la necessità di effettuare ulteriori ricerche per ottenere un quadro più completo
sui rischi per la salute, soprattutto sui possibili rischi cancerogeni a seguito di un’esposizione
a lungo termine a bassi livelli di RF.
Secondo il recente “Libro Bianco” sull’esposizione ai campi elettromagnetici a radiofrequenza
(documento redatto nel novembre 2001 da un gruppo di studio coordinato dal Prof. Angelo
Bernardini dell’Università La Sapienza di Roma), l’analisi delle principali ricerche e studi
scientifici effettuati in campo internazionale consente di pervenire alle seguenti
considerazioni:
- le uniche basi scientifiche a supporto della scelta di un criterio per la limitazione delle
emissioni elettromagnetiche a radiofrequenza sono quelle indicate dall’ICNIRP
(International Committee for Non-Ionizing Radiation Protection);
28
- anche in considerazione dell’aumento dei livelli di esposizione della popolazione legato
allo sviluppo di sistemi di telecomunicazione, occorre che vengano proseguiti studi e
ricerche atti a fornire elementi per la valutazione di eventuali rischi non ancora accertati
che consentano di ridurre l’attuale grado di incertezza scientifica;
- allo stato attuale, in assenza di risultati scientifici certi, è possibile fare ricorso a politiche
cautelative a condizione che valutazioni di rischio e limiti di esposizione siano fondati su
basi scientifiche e non su considerazioni improprie e arbitrarie;
- in base a quanto emerge dalla letteratura scientifica, non appare giustificato il ricorso
alla definizione di nuovi valori rispetto ai limiti indicati dall’ICNIRP; l’unico approccio
cautelativo attualmente applicabile consiste nell’imporre criteri di progettazione degli
impianti volti a minimizzare i livelli di emissione.
La normativa a tutt’oggi vigente in Italia – in attesa di una nuova generale regolamentazione
di tutto il settore – (la Legge Quadro 22 febbraio 2001 n. 36 prevede infatti espressamente
l’emanazione di specifici decreti attuativi) è rappresentata dal Decreto del Presidente del
Consiglio dei Ministri 23 aprile 1992, recante i limiti massimi di esposizione ai campi elettrici
e magnetici generati alla frequenza industriale nominale (50 Hz) negli ambienti abitativi e
nell'ambiente esterno e il Decreto Interministeriale 10 settembre 1998 n. 381, recante
“norme per la determinazione dei tetti di radiofrequenza compatibili con la salute umana”.
Con la suddetta Legge Quadro n. 36, in materia di protezione dalle esposizioni a campi
elettrici, magnetici ed elettromagnetici, sono stati previsti, fra l’altro, l’adozione di limiti di
esposizione, valori di attenzione e obiettivi di qualità, la misurazione e rilevamento
dell’inquinamento elettromagnetico nonché la fissazione di parametri per la previsione di
fasce di rispetto per gli elettrodotti, in applicazione dell’art. 4, comma 1, lettere a), e) e h).
Questi adempimenti si scontrano con notevoli difficoltà di ordine pratico, essendosi nel
frattempo autorevoli consessi scientifici espressi a favore di una maggiore coerenza della
normativa italiana con gli orientamenti formulati nella Raccomandazione del Consiglio
dell'Unione Europea del 12 luglio 1999, relativa alla limitazione della esposizione della
popolazione ai campi elettromagnetici da 0 Hz a 300 GHz. Le preoccupazioni espresse da più
parti si riferiscono al timore che alcuni degli approcci previsti nella citata Legge Quadro n. 36
del 2001 possano portare a decisioni non rispettose del principio costo-beneficio. L’obiettivo
prioritario è quello di orientare in modo più scientificamente valido le politiche di protezione
sanitaria e ambientale in questo settore, anche alla luce degli sviluppi nella valutazione del
rischio e nella conoscenza scientifica.
Lo smaltimento dei rifiuti
Il rischio per la salute si manifesta anche quando risultano assenti o inadeguati i processi di
raccolta, trasporto, stoccaggio, trattamento o smaltimento finale dei rifiuti, nonché quando
lo smaltimento avviene senza il rispetto delle norme sanitarie rigorose previste dalle norme
vigenti. La mancata raccolta dei rifiuti costituisce una causa importante di deterioramento
del benessere e dell'ambiente di vita. I rifiuti, qualora non vengano adeguatamente smaltiti,
possono contaminare il suolo e le acque di superficie.
29
I principali obiettivi in questo settore sono:
- l’adozione di un regime di smaltimento dei rifiuti urbani ed industriali, che minimizzi i
rischi per la salute dell’uomo ed elimini i danni ambientali;
- l’attivazione di azioni educative per ridurre la produzione dei rifiuti;
- l’incentivazione della gestione ecocompatibile dei rifiuti, con particolare riferimento al
riciclaggio;
- l’incremento delle attività di tutela ambientale per l’individuazione delle discariche
abusive e delle altre forme di smaltimento non idonee;
- il monitoraggio accurato delle emissioni inquinanti degli impianti di incenerimento.
Pianificazione e risposta sanitaria in caso di eventi terroristici e di altra natura
Negli ultimi anni, ed in particolare nel corso del 2001, si è presentato in forme nuove la
minaccia del terrorismo con uso di armi non convenzionali. Gli episodi di bioterrorismo sono
diventati un rischio più plausibile per molti Paesi occidentali, ivi inclusa l'Italia.
Fra le iniziative più importanti assunte immediatamente a ridosso dei tragici eventi dell’11
settembre 2001:
- è stata costituita, con Decreto Ministeriale 24 settembre 2001 un’apposita Unità di
Crisi che, fra l’altro, ha elaborato il protocollo operativo per la gestione della
minaccia terroristica derivante da un eventuale uso del bacillo dell’antrace;
- sono stati individuati, d’intesa con le Regioni, l’ISS e l’ISPESL, come Centri di
consulenza e supporto, rispettivamente, per gli eventi di natura biologica e chimicofisica
e per gli ambienti di lavoro; l’Ospedale L. Sacco di Milano, l’IRCSS L.
Spallanzani di Roma, il Policlinico di Bari e il Presidio Ascoli Tomaselli di Catania,
quali Centri nosocomiali di riferimento per il supporto clinico nonché l’Istituto
Zooprofilattico Sperimentale di Foggia quale centro di riferimento per il controllo
analitico del materiale sospetto (alla data del 15 febbraio 2002 sono stati analizzati
1876 campioni di materiale sospetto);
- é stato istituito un numero telefonico verde dedicato tanto agli operatori sanitari
quanto ai singoli cittadini che, alla data del 15 febbraio 2001, ha dato riscontro a
4.239 richieste pervenute;
- si è provveduto al reperimento dei vaccini e altri medicinali ritenuti essenziali;
- si è fattivamente collaborato in sede UE e G8 al necessario coordinamento per la
costruzione di una elevata capacità di risposta sanitaria.
Contestualmente, si è reso necessario predisporre altre misure sanitarie utili per far fronte
ad altre situazioni ipotizzabili, stabilendo l’idonea pianificazione degli interventi.
In linea con il Piano Nazionale di difesa da attacchi terroristici di tipo biologico, chimico e
radiologico, emanato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, è stato, perciò, redatto un
documento di Piano che si articola in due parti: nella prima è presa in considerazione la
minaccia biologica; nella seconda, è trattata la minaccia chimica e radiologica.
Conseguentemente, le principali azioni da realizzare sono:
30
- predisporre piani operativi regionali, articolati in ciascuna Azienda Sanitaria, che
individuino le funzioni da esperire, specifichino le modalità di svolgimento ed
identifichino i diversi livelli di responsabilità;
- approntare adeguate attrezzature, risorse e protocolli per affrontare i diversi scenari
di emergenza;
- adottare procedure operative standard per la risposta a falsi allarmi;
- intensificare l’aggiornamento e la formazione di operatori sanitari;
- sviluppare le indagini epidemiologiche e potenziare il collegamento e l’integrazione
tra diversi sistemi informativi.
31
3. LA SICUREZZA ALIMENTARE E LA SANITA' VETERINARIA
L’impatto della globalizzazione dei mercati sia sulla sicurezza degli alimenti sia sulla salute
delle popolazioni animali è stato considerevole. Il sistema Italia ha registrato notevoli
difficoltà di adattamento rispetto agli scenari che si sono venuti delineando in seguito alla
stipula dell’Accordo sulle misure sanitarie e fitosanitarie (Accordo SPS) nell’ambito
dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Questi accordi hanno modificato de facto in
modo radicale una serie di impostazioni tradizionali nella gestione della sicurezza igienico–
sanitaria. Tali difficoltà sono, per certi aspetti, comuni a tutta l’Unione europea, ma in Italia
l’adattamento è risultato, sotto diversi aspetti, più difficile.
Nonostante i successi registrati nel fronteggiare questi ed altri problemi, la realizzazione di
una rete di sorveglianza epidemiologica nazionale (come componente primaria di una politica
di gestione del rischio adeguata alla sfida posta dall'internazionalizzazione dei mercati),
malgrado l'impegno profuso da parte di diverse componenti del sistema di Sanità pubblica
veterinaria nazionale, non è ancora sufficientemente sviluppata. Inoltre la politica della
formazione appare ancora largamente inadeguata rispetto alla straordinaria velocità dei
mutamenti già avvenuti e previsti nell’immediato futuro.
Gli obiettivi prioritari sono i seguenti:
- definire una politica della sicurezza degli alimenti e della salute e del benessere degli
animali basata sulla valutazione e la gestione del rischio che consenta di uscire
gradualmente dalla logica dell’emergenza, realizzando una politica fondata su
obbiettivi di sicurezza e di salute misurabili e verificati;
- ridurre i rischi connessi al consumo degli alimenti ed alle zoonosi, assicurando alti
livelli di sicurezza igienico-sanitaria degli alimenti ai consumatori italiani;
- ridurre l’incidenza delle zoonosi e delle malattie diffusive nelle popolazioni degli
animali domestici, con particolare riferimento alle infezioni della lista A dell’OIE, alla
brucellosi bovina, ovi-caprina e bufalina ed alla tubercolosi, nonché alle encefaliti
spongiformi trasmissibili.
Da quanto premesso scaturisce con forza la necessità di un Piano Nazionale per la Sicurezza
Alimentare redatto e governato da un apposito ufficio di coordinamento che, prendendo le
mosse dalla riorganizzazione a livello nazionale resa necessaria dall’avvio dell’Autorità
Europea per la Sicurezza Alimentare, definisca in modo fortemente integrato, con chiarezza
e in maniera dettagliata, la natura e le responsabilità di diversi livelli di intervento, dei flussi
di coordinamento nell’acquisizione dei dati nonché delle relative analisi e consenta di
assumere e di attuare a livello più idoneo e con rapidità le decisioni indispensabili per il
conseguimento degli obiettivi summenzionati.
32
4. LA SALUTE E IL SOCIALE
Le fasce di povertà e di emarginazione
Numerosi studi hanno documentato che la mortalità in Italia, come in altri Stati, cresce con il
crescere dello svantaggio sociale. Alcuni studi mostrano che le diseguaglianze nella mortalità
non si riducono nel tempo, anzi sembrano ampliarsi, almeno tra gli uomini adulti.
Effetti diretti della povertà e dell'emarginazione sono misurabili sulla mortalità delle persone
e delle famiglie assistite dai servizi sociali per problemi di esclusione (malattie mentali,
dipendenze, povertà, disoccupazione), che in alcune zone presentano uno svantaggio nella
aspettativa di vita di 13 anni per gli uomini e 7 per le donne, rispetto al resto della
popolazione.
Si richiamano qui, in quanto rilevanti, integralmente le analisi e le proposte sviluppate nel
presente Piano in materia di: (i) malati cronici, anziani e disabili (Parte I, Sezione 2.2); (ii)
stili di vita salutari, prevenzione e comunicazione pubblica sulla salute (Parte I, Sezione 2.9);
(iii) salute mentale (Parte II, Sezione 4.3); (iv) tossicodipendenze (Parte II, Sezione 4.4); e
(v) salute degli immigrati (Parte II, Sezione 4.6). Prezioso in tale ambito e specialmente per
l'assistenza dei senza fissa dimora, è la collaborazione tra le strutture del Servizio Sanitario
Nazionale e le Organizzazioni del volontariato che dispongono di una maggiore flessibilità e
capacità di integrazione con questo gruppo di emarginati. La messa punto di incentivi a
carattere settoriale ed intersettoriale per facilitare azioni congiunte è fortemente auspicabile.
La salute del neonato, del bambino e dell'adolescente
Dal 1975 ad oggi il tasso di mortalità infantile (morti entro il primo anno di vita per 1.000
nati vivi) in Italia è sceso di più del 75%, dal 20,5 del 1975 al 5,47/1.000 del 1997. Si tratta
di uno dei più significativi miglioramenti registrati nell'Europa occidentale durante questo
periodo. Tuttavia vi sono ancora notevoli differenze tra le Regioni italiane: in alcune Regioni
meridionali (Sicilia, Basilicata, Campania) il tasso di mortalità infantile nel 1997 era di
7,57/1000 nati vivi, rispetto al 3,86 delle Regioni con il tasso di mortalità più basso (Veneto,
Lombardia). La mortalità neonatale (entro le prime quattro settimane di vita, ed in
particolare entro la prima) più elevata nelle Regioni del Centro-Sud, è responsabile della
maggior parte di tale mortalità
Nella valutazione dello stato di salute della popolazione infantile un importante indicatore è il
peso alla nascita dei neonati a termine. Esso è influenzato dallo stato sociale e da altri fattori
come il fumo. In Italia il tasso di basso peso alla nascita nel 1995 era del 4,7% (4,1%
maschi e 5,3% femmine, dati ISTAT). L'incidenza di basso peso alla nascita non è cambiata
in maniera significativa nel corso degli ultimi 15 anni.
33
La rete ospedaliera pediatrica, malgrado i tentavi di razionalizzazione, appare ancora
decisamente ipertrofica rispetto ad altri Paesi europei, con un numero di strutture pari a 493
nel 1999, mentre la presenza del pediatra dove nasce e si ricovera un bambino è garantita
nel 50% degli Ospedali, ed il pronto soccorso pediatrico è presente nel 30% degli Ospedali.
La guardia medico-ostetrica 24 ore su 24 nelle strutture dove avviene il parto è garantita
solo nel 45% dei reparti. Inoltre, malgrado la forte diminuzione della natalità, il numero dei
punti nascita è ancora molto elevato, 605 in strutture pubbliche o private accreditate: tra
queste poco meno della metà ha meno di 500 parti all’anno, soprattutto nelle Regioni del
Sud del Paese.
L'attuale organizzazione ospedaliera, insieme alla mancanza di una continuità assistenziale
sul territorio, ha determinato, nel 1999 un tasso di ospedalizzazione del 119‰, un valore
significativamente più elevato rispetto a quello dei Paesi europei, quali ad esempio il Regno
Unito (51‰) e la Spagna (60‰).
Malgrado la Convenzione Internazionale di New York e la Carta Europea dei bambini degenti
in ospedale (con la risoluzione del Parlamento Europeo del 1986), ancora più del 30% dei
pazienti in età evolutiva viene ricoverato in reparti per adulti e non in area pediatrica. L’area
pediatrica è "l'ambiente in cui il Servizio Sanitario Nazionale si prende cura della salute
dell'infanzia con caratteristiche peculiari per il neonato, il bambino e l'adolescente".
Gli obiettivi per i prossimi tre anni:
- pianificare l'assistenza perinatale attraverso la centralizzazione delle gravidanze a rischio
in Ospedali dotati di Terapia Intensiva Neonatale;
- attivare il Servizio di trasporto di emergenza neonatale in ogni Regione;
- ridurre il tasso di ospedalizzazione con l'obiettivo di ridurlo del 10‰ per anno;
- incrementare l’adozione di strutture socio-sanitarie alternative, quali l'ospedalità a
domicilio ed in strutture residenziali funzionalmente collegate con gli Ospedali;
- articolare gli interventi di Guardia Pediatrica e di Pronto Soccorso, secondo un modello
interdisciplinare, che sia in grado di differenziare il luogo della accoglienza e della
assistenza all'utenza da quello di ricovero, mediante la creazione, in ogni unità operativa
pediatrica, di un'area di osservazione temporanea, opportunamente regolamentata;
- diminuire la frequenza dei parti per taglio cesareo, e ridurre le forti differenze regionali
attualmente esistenti, arrivando entro il triennio ad un valore nazionale pari al 20%, in
linea con valori medi degli altri Paesi europei, anche tramite una revisione del DRG
relativi;
- rendere disponibile in almeno parte delle strutture il cosiddetto parto indolore;
- ottimizzare il numero di punti nascita, riducendone il numero ed incrementandone la
qualità.
34
La salute mentale
I problemi relativi alla salute mentale rivestono, in tutti i Paesi industrializzati, un'importanza
crescente, perché la loro prevalenza mostra un trend in aumento e perché ad essi si associa
un elevato carico di disabilità e di costi economici e sociali, che pesa sui pazienti, sui loro
familiari e sulla collettività.
Numerose evidenze tratte dalla letteratura scientifica internazionale segnalano che nell’arco
di un anno il 20% circa della popolazione adulta presenta uno o più dei disturbi mentali
elencati nella Classificazione Internazionale delle Malattie dell’Organizzazione Mondiale
della Sanità.
L'assetto organizzativo dei servizi per l'età adulta, come previsto dall'attuale normativa,
prevede quattro tipologie strutturali, coordinate all'interno di un modello dipartimentale:
1. Centri di salute mentale per interventi sul territorio;
2. Servizi psichiatrici di diagnosi e cura per l'assistenza ospedaliera;
3. Centri diurni e day hospital per attività riabilitative in regime semiresidenziale;
4. Strutture per attività riabilitative in regime residenziale.
Le aree critiche che si rilevano nella tutela della salute mentale, al momento attuale, sono:
- la disomogenea distribuzione dei Servizi sul territorio nazionale, con particolare
riferimento ai Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura ospedalieri, ai Centri Diurni ed alle
Strutture Residenziali per attività riabilitative, insieme ad una mancanza di
coordinamento fra i servizi sociali e sanitari per l’età evolutiva, i servizi per gli adulti ed i
servizi per i soggetti anziani; tale evidenza induce a valutare, nel rispetto del modello
dipartimentale di cui al Progetto Obiettivo Salute Mentale 1998-2000, la necessità di
sperimentare un modello di Coordinamento Interdipartimentale che garantisca in
ciascuna Azienda Sanitaria l’integrazione funzionale con i Dipartimenti materno-infantile,
anziani, tossicodipendenze e con i Distretti, garantendo certezza di presa in carico e di
continuità terapeutica condivisa dei problemi di salute mentale del paziente, qualunque
sia il punto di accesso, pubblico o privato accreditato; alla realizzazione dei programmi
del coordinamento interdipartimentale devono partecipare le strutture del privato sociale
ed imprenditoriale accreditate. Le Associazioni dei familiari devono essere
periodicamente consultate e coinvolte dal Coordinamento;
- la mancanza di un numero adeguato di Strutture residenziali per le condizioni
psichiatriche che prevedono una più elevata intensità e durata dell’intervento
riabilitativo;
- la carenza negli organici dei Dipartimenti di Salute Mentale;
- la carenza di sistemi informativi nazionali e regionali per il monitoraggio qualiquantitativo
delle prestazioni erogate e dei bisogni di salute della popolazione;
- la scarsa diffusione delle conoscenze scientifiche in materia di interventi basati su prove
di efficacia e la relativa adozione di Linee Guida da parte dei servizi, nonché di parametri
per l’accreditamento delle strutture assistenziali pubbliche e private;
- la presenza di pregiudizi ed atteggiamenti di esclusione sociale nella popolazione;
- la scarsa attenzione alla prevenzione primaria e secondaria, ai problemi della salute
mentale in età evolutiva e nell'età "di confine", che si concretizza in un'offerta di servizi
35
insufficiente ed alla quale è utile rispondere anche con il contributo, almeno in fase
sperimentale, di strutture accreditate del privato sociale ed imprenditoriale;
- la carente gestione delle condizioni di comorbidità tra disturbi psichiatrici e disturbi da
abuso di sostanze, e tra disturbi psichiatrici e patologie organiche;
- la scarsa attenzione alla presenza di disturbi mentali nelle carceri. Tale evidenza segnala
l'importanza della sperimentazione in corso in alcune Regioni sulla base di quanto
previsto dal Decreto Legislativo 22 giugno 1999 n. 230 e dal relativo progetto obiettivo,
anche ai fini della valutazione della rispondenza del modello organizzativo ivi delineato.
A breve termine è necessario pianificare azioni volte a:
- ridurre le disomogeneità nella distribuzione dei servizi e negli organici all’interno del
territorio nazionale superando le discrepanze esistenti tra il Nord e il Sud del Paese ed
all’interno delle singole realtà regionali, anche attraverso il ricorso al contributo di
strutture private sociali ed imprenditoriali, promuovendo la realizzazione di un numero
adeguato di Strutture residenziali per le condizioni psichiatriche che prevedano una più
elevata intensità e durata dell’intervento riabilitativo, individualizzato sulla base dei
bisogni del paziente, regolarmente sottoposto a verifica;
- concludere il processo di superamento dei manicomi pubblici e privati superando,
finalmente qualunque approccio custodialistico;
- pianificare interventi di prevenzione, diagnosi precoce e terapia dei disturbi mentali in
età infantile ed adolescenziale attivando stretti collegamenti funzionali tra strutture a
carattere sanitario (neuropsichiatria infantile, dipartimento materno-infantile, pediatria di
base), ed altri servizi sociali ed Istituzioni a carattere educativo, scolastico e giudiziario;
- potenziare i servizi territoriali di diagnosi e quelli di day hospital o comunità di
accoglienza e, soprattutto, attivare o potenziare i servizi di pronto soccorso psichiatrico o
di reperibilità pubblici o privati accreditati afferenti al servizio di Salute Mentale, operanti
nel corso delle 24 ore, poiché la presa in carico in tempo utile riduce in maniera
altamente significativa l’incidenza di un disturbo mentale che altrimenti tende a
cronicizzarsi;
- assicurare la presa in carico e la continuità terapeutica dei problemi di salute mentale del
paziente, qualunque sia il punto di accesso nel sistema sanitario, pubblico o privato
accreditato, attraverso la sperimentazione di un modello di Coordinamento
Interdipartimentale che garantisca in ciascuna Azienda Sanitaria l’integrazione funzionale
dei Dipartimenti di Salute Mentale con i Dipartimenti materno-infantile, anziani,
tossicodipendenze, con i Distretti e i Dipartimenti Ospedalieri; alla realizzazione dei
programmi del coordinamento interdipartimentale parteciperanno le strutture del privato
sociale ed imprenditoriale accreditate; le Associazioni dei familiari verranno
periodicamente consultate dal Coordinamento;
- migliorare la gestione delle condizioni di comorbidità tra disturbi psichiatrici e patologie
organiche, mediante l’attivazione di Servizi di Psichiatria di Consultazione e Collegamento
con la medicina generale e quella ospedaliera;
- promuovere la formazione e l'aggiornamento continuo di tutto il personale operante nel
campo della salute mentale;
- attuare interventi di sostegno ai gruppi di auto-aiuto di familiari e di pazienti;
- attivare interventi per la prevenzione e cura del disagio psichico nelle carceri, secondo
quanto previsto dal Decreto Legislativo 22 giugno 1999 n. 230.
36
Le tossicodipendenze
Adeguate strategie pubbliche contro la droga richiedono che le Amministrazioni dello Stato
promuovano una cultura istituzionale idonea a contrastare l’idea della sostanziale innocuità
delle droghe e l’atmosfera di “normalità” in cui il loro uso, non di rado, si diffonde
determinando un pericoloso abbassamento dell’allarme sociale, fattori questi che
contribuiscono a determinare un oggettivo vantaggio per il mercato criminale nell’offerta di
droghe.
Nel corso del mese di novembre 2001, di fronte al Comitato Interministeriale di
Coordinamento per l’azione anti-droga, costituito ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, si è
insediato il Commissario Straordinario di Governo, in qualità di responsabile del Dipartimento
Nazionale per le Politiche Antidroga, che avrà il compito di coordinare le politiche e le
competenze oggi distribuite in diversi Ministeri, così da progettare un Piano Nazionale più
incisivo ed efficace.
Le azioni e gli interventi indicati di seguito sono quelli contenuti nel Piano predisposto e
approvato dal Governo il 14 febbraio 2002, che avranno attuazione con il coinvolgimento di
tutte le componenti istituzionali direttamente interessate.
Alla luce dei dati più recenti è possibile affermare che il fenomeno della tossicodipendenza
riguarda oggi, in misura largamente prevalente, l'uso contemporaneo di più sostanze, dalle
cosiddette droghe leggere, alle amfetamine, all'eroina e alla cocaina.
E' anche accertato come l'età del primo approccio con le sostanze sia in continua e
progressiva diminuzione: recenti ricerche hanno posto in evidenza come essa sia collocabile,
per la stragrande maggioranza dei consumatori di droghe, fra gli 11 e i 17 anni, con la media
della "prima esperienza" stabilizzata ormai al di sotto dei 13 anni.
Allo stesso tempo il passaggio dal consumo della cannabis a quello delle altre droghe risulta
avvenire in tempi sempre più ridotti rispetto agli anni passati.
Dai dati ufficiali risulta inoltre che:
- il consumo di eroina, nonostante in alcune zone del Paese il trend dei nuovi
consumatori di tale sostanza sia in contrazione, è in aumento, specialmente
attraverso nuove modalità di assunzione (fumo, inalazione);
- continua il progressivo aumento, peraltro già rilevato, del consumo di cocaina, che
da droga di "élite" si è trasformata rapidamente in una droga di massa. L'assunzione
della sostanza riguarda, infatti, fasce sempre più diversificate e giovani di utilizzatori;
- si evidenzia un costante aumento dei consumi di "ecstasy" e di amfetamine, come
indirettamente confermato dall'aumento esponenziale dei sequestri di questo tipo di
droghe;
- il consumo di cannabinoidi coinvolge ormai, secondo le statistiche più attendibili,
oltre un terzo degli adolescenti ed è un comportamento considerato "normale" da
una parte consistente dell'opinione pubblica, dei mezzi di informazione e perfino da
alcuni soggetti istituzionali.
37
Le nuove politiche del Governo in materia di tossicodipendenza
Il Governo italiano intende dare piena attuazione al piano di azione comunitario e degli
indirizzi ONU in materia di riduzione della domanda e dell'offerta di droga, potenziando, in
coerenza con quanto affermato nel DPEF 2002-2006, le iniziative orientate alla prevenzione
dalla tossicodipendenza, al recupero del valore della persona nella sua interezza e al suo
reinserimento a pieno titolo nella società e nel mondo del lavoro.
I progetti dovranno essere orientati a:
- promuovere lo sviluppo integrale della persona;
- offrire occasioni di miglioramento dei processi di partecipazione attiva e di
riconoscimento della propria identità;
- contribuire a creare consapevolezza e capacità decisionali ed imprenditoriali nei
giovani;
- offrire concrete occasioni di inserimento nel mondo della formazione e del lavoro;
- qualificare la vita in termini complessivi, come valore insostituibile.
Per quanto riguarda, poi, le campagne informative, si intende fare riferimento a dati e
ricerche autorevoli, scientificamente credibili e facilmente "acquisibili" dai giovani, evitando
messaggi approssimativi e contraddittori quali, ad esempio, quelli che minimizzano i danni
provocati dalle sostanze, con superficiali e superate distinzioni tra le droghe cosiddette
”pesanti” e “leggere”.
In applicazione dell'Accordo Stato-Regioni del 21 gennaio 1999, le Regioni e le ASL devono
organizzare un'area dipartimentale funzionale per il trattamento, il re inserimento e la
prevenzione dei problemi correlati all'uso di sostanze psicotrope, legali ed illegali, e per i
comportamenti assimilabili (disturbi dell'alimentazione e gioco d'azzardo). Detta area
dipartimentale deve essere inserita in un più ampio Dipartimento che comprenda anche
l'area della salute mentale e l'area materno-infantile, al fine di costruire progetti comuni e
coerenti, in particolare sulle "aree di confine" -quali alcolismo, doppie diagnosi, disturbi
dell'alimentazione, gioco d'azzardo -e di ottimizzare le risorse.
Strutture socio-riabilitative, pubbliche e private
Le Istituzioni intendono assicurare la disponibilità dei principali trattamenti relativi alla cura e
alla riabilitazione dall'uso di sostanze stupefacenti e garantire la libertà di scelta del
cittadino/tossicodipendente e della sua famiglia di intraprendere i programmi riabilitativi
presso qualunque struttura autorizzata su tutto il territorio nazionale, sia essa pubblica che
del privato sociale.
Appare quindi necessario intervenire sull'assetto legislativo attuale, affinché anche le
strutture socio-riabilitative, autorizzate e dotate di apposita equipe multidisciplinare
integrata, possano certificare lo stato di tossicodipendenza della persona ed avviarla,
direttamente verso un programma riabilitativo.
Considerata l'entità del fenomeno e l'obiettivo di avviare un maggior numero di
tossicodipendenti in percorsi riabilitativi, si rende inoltre necessaria la costituzione di misure
38
per l'edilizia residenziale, finalizzata alla creazione di nuove strutture e al potenziamento
della ricettività e/o dei servizi delle strutture già esistenti.
I tossicodipendenti in carcere
Un problema prioritario è rappresentato dalle migliaia di detenuti tossicodipendenti ai quali
occorre garantire il diritto di accedere, se ne fanno richiesta e secondo le normative vigenti,
a percorsi riabilitativi alternativi alla detenzione.
Si dovranno, pertanto, snellire le procedure amministrative e potenziare le presenze di
educatori e volontari all'interno delle strutture penitenziarie, per motivare il maggior numero
di tossicomani detenuti a scegliere la strada del cambiamento e della riabilitazione.
Si rende, infine, necessaria la realizzazione di specifiche strutture "a custodia attenuata",
inserite nel quadro del Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria, gestite in
collaborazione con le realtà del privato sociale e propedeutiche al successivo inserimento
delle persone in programmi riabilitativi "drug-free", sia presso il carcere che in comunità
vigilate.
In conclusione si possono identificare i seguenti obiettivi prioritari:
- promuovere e attivare una verifica sistematica e in costante aggiornamento delle
esperienze realizzate sui vari territori, tramite le Regioni e gli Enti Locali;
- promuovere e attivare la piena realizzazione della parità di prestazione tra sistema
pubblico e privato sociale accreditato -attraverso l’ ulteriore evoluzione del modello
organizzativo dipartimentale della assistenza– prevedendone il diretto coinvolgimento a
livello delle Aziende Sanitarie Locali, anche in fase di programmazione delle risorse;
- promuovere la partecipazione delle associazioni delle famiglie sin dal momento
programmatorio, prevedendone il coinvolgimento nella logica dell’ integrazione
interistituzionale;
- inserire nel programma di abbattimento dell’uso e dell’abuso, oltrechè le sostanze illegali,
anche la tematica della prevenzione dell’alcoolismo (soprattutto giovanile) e del
tabagismo e estendere l’ azione anche a settori innovativi di intervento come le
dipendenze comportamentali (es.: gioco d’azzardo);
- attivare programmi di prevenzione e informazione nella scuola;
- migliorare la presa in carico, da parte dei SerT e degli interventi privati accreditati, dei
soggetti inviati dalle prefetture per l’ attuazione di programmi terapeutici, valorizzando
l’approccio multidisciplinare e gli strumenti propri della valutazione multidimensionale,
allo scopo di attivare progetti assistenziali e riabilitativi personalizzati e coinvolgenti il
nucleo familiare;
- promuovere e attivare sperimentazioni e ricerche su effetti, danni e patologie derivati da
uso e abuso di sostanze stupefacenti;
- produrre Linee Guida e protocolli terapeutici per gli interventi in campo sociale e
sanitario;
39
- attivare sinergie con le Forze dell’Ordine sia sulla repressione del fenomeno sia,
soprattutto, sul loro ruolo fondamentale di prevenzione attraverso le informazioni, le
analisi e i collegamenti internazionali;
- attivare il monitoraggio delle informazioni e della comunicazione dei mass media e delle
campagne della stampa quotidiana;
- utilizzare gli spazi normativi già esistenti (Legge 45/99, DPR 309/90) e quelli fortemente
innovativi in corso di perfezionamento (revisione del Decreto Ministeriale 444/90) per
provvedere alla rivitalizzazione dei SerT, alla riformulazione dei profili e/o della
formazione delle figure professionali coinvolte (medici, psicologi, psichiatri, operatori,
educatori), alla sperimentazione integrata sul territorio, con le Regioni e col privato
sociale, delle opzioni farmacologiche e dei trattamenti e garantendo, in particolare:
a) costante attenzione alle condizioni di salute, sia fisica che psichica;
b) l’ offerta, a livello territoriale, qualunque sia la struttura pubblica o privata
accreditata di accesso alla rete dei servizi, di trattamenti di disintossicazione e l’avvio
e il monitoraggio di programmi socio-riabilitativi condotti in condizioni “drug free”.
La sanità penitenziaria
Nell’anno 2000 le persone detenute erano 53.340 (51.074 uomini e 2.266 donne),
nonostante le infrastrutture avessero una disponibilità di 35.000 posti distribuiti nei 200
istituti esistenti. Dei suddetti detenuti 13.668 (25,63%) erano extracomunitari, 14.602
(27,38%) tossicodipendenti, di cui 1.548 (2,9% dei detenuti) sieropositivi per HIV (9,8% dei
sieropositivi in AIDS conclamata), oltre 4.000 (7,5%) sofferenti di turbe psichiche e 695
(1,3%) alcooldipendenti.
Obiettivi prioritari in questo campo sono i seguenti:
- attivare programmi di prevenzione primaria per la riduzione del disagio ambientale e
rendere disponibili programmi di riabilitazione globale della persona, sia nel carcere che
in comunità di recupero vigilate, nella logica di modelli organizzativi che equiparano
strutture pubbliche e private accreditate secondo un modello dipartimentale nel quale
siano previsti anche momenti di integrazione interistituzionale;
- attivare programmi per la riduzione dell’incidenza delle malattie infettive fra i detenuti;
- migliorare la qualità delle prestazioni di diagnosi, cura e riabilitazione a favore dei
detenuti.
La salute degli immigrati
Al 1° gennaio 2001 gli stranieri ufficialmente registrati dal Ministero dell’Interno erano in
Italia 1.338.153. Se si aggiungono ad essi i richiedenti il permesso di soggiorno, il numero
complessivo di stranieri regolarmente presenti sul territorio risulta di 1.686.606 persone, pari
a circa il 2,9% dell’intera popolazione italiana (la media europea è del 5,1%).
Osservando il flusso di utilizzo di alcuni servizi sanitari da parte degli stranieri, si evidenzia
una sostanziale mancanza di elasticità dell’offerta di servizi, a fronte dei nuovi problemi di
salute di questi nuovi gruppi di clienti.
40
Altre azioni prioritarie riguardano i seguenti aspetti:
- migliorare l’assistenza alle donne straniere in stato di gravidanza e ridurre il ricorso alle
I.V.G.;
- ridurre l’incidenza dell’HIV, delle malattie sessualmente trasmesse e delle tubercolosi
tramite interventi di prevenzione mirata a questa fascia di popolazione;
- raggiungere una copertura vaccinale della popolazione infantile immigrata pari a quella
ottenuta per la popolazione italiana;
- ridurre gli infortuni sul lavoro tra i lavoratori immigrati, tramite gli interventi previsti a tal
fine per i lavoratori italiani.
41
RINGRAZIAMENTI
La redazione del presente Piano non sarebbe stata possibile senza la fattiva ed intelligente
collaborazione delle persone elencate di seguito (componenti del Gruppo Pensiero
Strategico): Marco Campari, Cinzia Caporale, Emanuele Carabotta, Antonella Cinque, Guido
Coggi, Carla Collicelli, Lorenzo Lamberti, Franco Mandelli, Michelangelo Tagliaferri.
Hanno inoltre collaborato:
Walter Canonica, Roberto Cardea, Leoluca Crescimanno, Giovanni De Girolamo, Cristina Di
Vittorio, Enrico Garaci, Alessandro Ghirardini, Daniele Giovanardi, Donato Greco, Antonio
Guidi, Roberto Iadicicco, Teresa Loretucci, Novella Luciani, Mario Maj, Claudio Mencacci,
Aldo Morrone, Alessandro Nanni Costa, Ludovico Perletti, Maurizio Pocchiari, Guido Pozza,
Antonio Randazzo, Giovanni Rezza, Stefano Signorini, Francesco Tancredi, Vittorio Silano,
Michele Tansella, Piergiorgio Zuccaro.