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COMUNICAZIONE…STRUMENTO A VOLTE ABUSATO E SPESSO SCONOSCIUTO…

Tagli alla sanità

CHE DETERMINA INCOMPRENSIONI ED INVASIONI… RESISTENZE E CONFUSIONI…CHE METTE A CONFRONTO L’INSICUREZZA E L’ONNIPOTENZA SOGGETTIVA…CHE UNISCE O SEPARA…E CHE FONDAMENTALMENTE FA PROVARE PAURA!

PAURA di non essere riusciti a farsi capire, PAURA di non essere all’altezza di capire, PAURA che gli altri siano incapaci di capire…conclusione o noi o gli altri ci stanchiamo di “cercare/attivare” comunicazione, ci si parla addosso o contro, non si ascolta ne si è ascoltati, si abusa di parole e si perde il bisogno di significare gli agiti ed il lavoro di gruppo diventa una chimera irraggiungibile.

Ma se si analizza il significato agito della comunicazione si intuisce immediatamente che essa e’ condivisione di strumenti, di obiettivi, di verifiche, di cambiamenti…tutti finalizzati ai risultati che, nella specificità del nostro lavoro, dobbiamo concretizzare nel rispetto della salute psicofisica degli utenti e nostra e della domanda di cura che ci viene rivolta.

 

In un servizio pubblico la COMUNICAZIONE deve essere ORGANIZZATIVA, deve investire tutti i soggetti coinvolti nei diversi ruoli, deve essere interna alla struttura ma deve sapersi relazionare con l’esterno se vuole produrre risultati e concretizzare obiettivi, deve dare informazioni chiare e costanti sulle strategie progettuali aziendali per attivare, nei gruppi di lavoro, proposte e cambiamenti in relazione alle esperienze ed ai bisogni specifici. Deve sapersi articolare diversamente per essere COMUNICAZIONE VERSO/CON GLI OPERATORI e VERSO/CON GLI UTENTI, non perché ci sia chi detiene il potere del sapere e lo usa per nascondere, agli uni od agli altri, qualcosa, ma perché i soggetti coinvolti hanno compiti e richieste completamente differenti: i primi devono accompagnare i secondi verso un risultato che sia qualitativamente soddisfacente, devono informare per agire il bisogno di fiducia e di cura dell’altro; ma per farlo, devono essere coinvolti e condividere scelte e progettualità; consci dei limiti dell’organizzazione e dei propri, ma attivi in un lavoro di gruppo che sia, nel contenimento delle soggettività, capace di soddisfare, dare ascolto e spazi, ad una collettività fatta di individui.

Questo non significa un ideologico superamento dei ruoli, perché ognuno si verifica e verifica il proprio impegno e coinvolgimento mettendosi in gioco nell’importanza e necessità del proprio agire: come una linea che non sarebbe tale senza l’insieme dei punti che la compongono, ognuno necessario all’altro e nessuno che da solo potrebbe rappresentarla!

Pensate che paurosa confusione se un dirigente aziendale non fosse capace di programmare, un dirigente UOC di articolare proposte, un coordinatore di occuparsi di attivarle, un gruppo di lavoro di trasformarle in agiti…ma se ognuno di questi attori non si prendesse le proprie responsabilità secondo il ruolo ricoperto e se, in relazione a questo, non fosse capace di ascoltare le difficoltà ed i bisogni di tutti gli anelli di questa catena…il meccanismo si interromperebbe inevitabilmente ed i risultati sarebbe incompleti se non nulli, poiché una comunicazione gerarchica ha poca storia in un servizio che deve scoprire e rafforzare i rapporti partecipativi per umanizzare l’assistenza.

La condivisione è proprio questa capacità di coinvolgere tutti, nel rendere ognuno necessario anche se non indispensabile, sapendo infine contenere e direzionare gli agiti nella realizzazione dei risultati che il gruppo ha collettivamente individuato.

Ma nello stesso tempo è impossibile, e lo viviamo nel quotidiano, sperare in una autogestione totale…ogni servizio reparto richiederebbe senza avere una visione di insieme, convinti che le proprie richieste siano uniche e prioritarie; un gruppo di lavoro farebbe prevalere i singoli bisogni su un’organizzazione collettiva , perché la propria richiesta di ferie, di turnazione, di ascolto delle difficoltà individuali, diventerebbe l’unico problema da risolvere.

Come nel difficile ruolo genitoriale, ognuno, nell’articolazione dei diversi ruoli, dovrà fare i conti con l’autorità e l’autorevolezza, trovando quel giusto equilibrio fra dare ed avere, fra ascolto empatico e condivisione, fra soggettività ed oggettività, fra teoria e prassi, fra principio di realtà ed utopia.

L’importante è che ognuno sia soddisfatto del proprio lavoro e quindi sia e si senta partecipe, rendendosi conto che questo è possibile solo attraverso un confronto ed un agito collettivo, dove gelosie, personalismi, invidie, resistenze, preconcetti, sono emozioni inevitabili, da affrontare e riconoscere senza rimuoverle o negarle; dove ogni problema non deve essere dato per scontato o per risolto definitivamente, perché basta un evento esterno, un nuovo arrivo (sia come operatore che come utente) a riproporre situazioni ed agiti passati.

Il gruppo di lavoro deve essere capace di confrontarsi per trasformarsi continuamente, senza mai perdere la memoria delle esperienze e del percorso passato. Questo essere cangiante non significa non avere una precisa identità, perché questa viene data dalla progettualità condivisa e dal fine da raggiungere come gruppo di cura, ma significa non aver paura delle incertezze e delle trasformazioni richieste dalle situazioni che, volta per volta, si presentano e non possono essere sempre previste od anticipate. Ogni paziente, come ha un progetto terapeutico individuale, ha anche un suo tempo di cura, nel quale deve e può essere solo lui ad accettare l’aiuto offerto, ad utilizzarci come strumenti di ripresa per la ristrutturazione del sé frantumato dalla sofferenza degli abbandoni, delle violenze, delle delusioni subite. Sicuramente avere più confronti, più indicazioni dai medici referenti è indispensabile per significare gli agiti dei nostri giovani pazienti, ma questo non ci renderà indenni dai loro silenzi, rifiuti, opposizioni, sfide; non ci permetterà di non sentirci attaccati dai sadismi, proiezioni, impotenza e violenza delle patologie psichiatriche; non ci farà abbandonare automaticamente le nostre aspettative e ci porterà a ridicolizzare, sminuire, esasperare i vissuti di chi ci sta chiedendo aiuto ed ascolto per difenderci dalla sofferenza che ci viene implosa contro.

Il confronto di gruppo, nel condividere il racconto delle esperienze passate, le necessità del presente e le prospettive future, con una dimensione professionale ed umanizzante, è lo strumento indispensabile per attivare una comunicazione organizzativa che può garantire agli utenti un risultato ottimale rispetto al bisogno di cura e salute ed a noi operatori la dovuta soddisfazione/partecipazione al nostro impegno lavorativo.

 

Dalle vostre valutazioni e consigli scaturiti dalle schede degli ultimi ECM di Aprile 2009, queste sono le proposte che vorrei condividere con il gruppo per attivare maggiori momenti formativi e più comunicazione organizzativa:

- una giornata con discussione di un libro proposto dai medici di reparto che, con semplicità, tratti le patologie psichiatriche o la specificità della normalità/patologia in adolescenza, che venga letto da tutti operatori così da permettere, individualmente, l’articolazione di dubbi e incomprensioni, la richiesta di approfondimenti ed una partecipazione attiva alla giornata formativa (da organizzare il primo giorno di riduzione estiva posti letto per permettere la concentrazione, nell’orario antimeridiano, di un numero maggiore di operatori).Un questionario da presentare tre mesi prima del prossimo ECM per deciderne gli argomenti.

- Attivare una serie di linee guida su alcune patologie psichiatriche da un punto di vista specificatamente infermieristico, coinvolgendo oltre ai medici referenti, gli specializzandi che, negli anni passati, hanno già condiviso le maggiori difficoltà nelle nostre offerte assistenziali.

- Potenziare l’importanza della lettura delle relazioni scritte durante le riunioni di reparto e l’assemblea dei ragazzi/e con il dirigente UOC. Attivare la partecipazione al nostro spazio di supervisione con prof. Filippi, sforzandoci collettivamente a portare in quella sede le nostre difficoltà ed i nostri conflitti.

- Richiedere un incontro programmatico al dirigente UOC all’inizio di ogni anno per condividere dati ed informazioni sul lavoro fatto e per attivare le proposte sulle prospettive dell’anno in corso sia rispetto alle strategie aziendali che rispetto ai bisogni assistenziali.

 

 

 

Aprile 2009 Graziella

Info su: www.azimut-onlus.org

 

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