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Creativamente riabilitativi

“CREATIVAMENTE RIABILITATIVI”…

GLI OPERATORI DELLA SALUTE MENTALE IN UN REPARTO PER ADOLESCENTI CON GRAVI PATOLOGIE PSICHIATRICHE.

-“E’ nel giocare e soltanto mentre gioca che l’individuo, bambino o adulto, è in grado di essere creativo e di far uso dell’intera personalità, ed è solo nell’essere creativo che l’individuo scopre il sé”(Winnicott)

-“L’arte è la volontà di cambiare lo stato delle cose, un principio mutante che si oppone alla staticità del mondo”(Beuys)

-“L’immaginario, coinvolge l’adulto nella dinamica del desideri, mostra che il bambino è “portatore di un sapere” che l’adulto ha dimenticato, un sapere che minaccia ogni statuto di potere, statuto necessario per realizzare una relazione ineguale quale quella pedagogica”(Resweber)

-“Bisogna permettersi di giocare senza essere troppo integrati per poter essere creativi ed allo stesso tempo rinunciare alla nostra onnipotenza, brillantezza e creatività per lasciare al bambino l’allegria e la sorpresa di incontrare sé stesso, solo, in presenza di un altro”(Abadi)

-“La pedagogia dell’immaginario è forse una delle visioni educative che più chiama in causa e mette in discussione l’adulto. Nel regno della fantasia l’ignorante è l’adulto, mentre il sapiente è proprio il bambino: il maestro ha da imparare dal bambino, deve recuperare la propria creatività, deve ritrovare ed apprendere gli strumenti dell’espressività: il disegno, il teatro, la poesia”(Mustacchi)

Cinque frasi di illustri psicoterapeuti e pedagogisti che racchiudono il percorso che ormai da anni abbiamo intrapreso, come operatori della salute mentale, all’interno della UOC A della Neuro Psichiatria Infantile, Policlinico Umberto I° Roma, nello scoprire e nell’inventarci le linee guida sulle attività extracliniche terapeutiche e riabilitative.

Gravi patologie psichiatriche, profonde destrutturazioni, lutti ed abbandoni rimossi, sofferenze e paure annientanti, una violenza invasiva e distruttiva contro se stessi e gli altri, in piena evoluzione puberale ed emozionale con un’infanzia invissuta ed un essere adulti senza solide basi di crescita.

Questi sono i nostri adolescenti inviatici da SPDC di altri ospedali, accompagnato dal 118, con richieste dei Tribunali dei minori, che affrontano il ricovero spesso con alle spalle ripetuti tentativi di suicidio ed un lungo percorso di cure, con un voluto ed annientante isolamento dal mondo, per niente capaci o desiderosi di fidarsi di qualcuno, sufficientemente impauriti del rapporto con un mondo adulto deludente e deprivante.

Ci sono tutte le difficoltà immaginabili, ma c’è principalmente tutta la ricchezza e le possibilità trasformative che un’età come l’adolescenza racchiude permettendo ad ogni adolescente, se adeguatamente contenuto e sorretto, di riattraversare tutte le fasi, i vuoti e le paure di un’infanzia infelice che ha destrutturato il suo fragile sé. Nel 1922 uno psichiatra inglese, Jones, riprende gli studi di Freud sull’adolescenza per sottolineare l’importanza della ripetizione, della ricapitolazione e dell’elaborazione dell’infanzia durante l’adolescenza. Dopo ben quaranta anni Jacobson definisce “rimodellamento” il processo in cui va incontro la personalità in adolescenza e Blos nel ’67 con il concetto di “seconda individuazione” o “seconda opportunità” sottolinea come in questo particolare e contraddittorio periodo di crescita vi sia la possibilità, dopo la relativa tregua del periodo di latenza, di riaffrontare e risolvere tutti i conflitti pre-edipici ed edipici non potuti affrontare nella prima infanzia.

Come operatori della salute mentale che si rivolgono a questa specifica età, dobbiamo saperci mettere in gioco e credere professionalmente ai processi riabilitativi per riempire di contenuti creativi ed espressivi l’offerta assistenziale.

Siamo tutti usciti dalle scuole infermieristiche con poche conoscenze nel campo psichiatrico e sulla necessità , in ogni processo di cura, di considerare con attenzione l’approccio psicologico, ma nel corso degli anni, confrontando i bisogni/desideri dei nostri ragazzi, abbiamo ri/inventato la nostra professionalità, abbandonando alcune sicurezze ma scoprendo delle enormi ricchezze anche in noi stessi. Da una parte una ricerca scientifica professionale rivolta sia all’età adolescenziale che alla complessità della realtà mentale, con l’aiuto e la disponibilità dei nostri primari e medici del reparto, dall’altra la nostra inesauribile curiosità nel trovare nel processo riabilitativo un nuovo canale terapeutico e psico educativo.

Abbiamo iniziato a lavorare principalmente su noi stessi, sul nostro approccio creativo, sulla scoperta di tutta un’aria fantastica incontaminata, sul nostro corpo, le nostre emozioni, i nostri sentimenti, cercando di non aver paura delle nostre paure e di riconoscere i nostri vuoti per avvicinarci alla patologia psichiatrica con quella “distanza equilibrata” che ci permette di difendere e di difenderci. Tutti i giorni sperimentiamo la difficoltà dei nostri ragazzi nel misurarsi con i sentimenti, la loro profonda paura delle emozioni, la fuga dal reale che li ha frantumati ed abbiamo verificato quanto una matita, un foglio, un passo di danza, il mascherarsi, una partita di ping pong , un po’ di creta, l’inventare una storia, un film, una musica, le ore quotidiane di scuola…possano rassicurarli, darci un canale di comunicazione, permetterci un approccio non invasivo perché non fatto solo di parole e di razionalità. E’ questa condivisione nel fantastico e nel creativo a diluire ogni diversità, a farli sentire accettati a non imporre falsi sé; non importa come viene il disegno, la poesia, il dolce, la statua… piano piano ci si può prendere per mano per esprimere e confrontarsi, casomai danzando, con quella rabbia e quell’aggressività fino ad ora negate. Non si è mai soli, non c’è chi giudica e chi è giudicato, si può ritornare bambini, si può smettere di fingere e di atteggiarsi, si può ridere, si può piangere, si può stare in silenzio, si può urlare, ci si può annoiare, si può essere protagonisti, si può rifiutare un contatto, ma si vive in gruppo, ci si sente utili e necessari ad un processo collettivo, ci si confronta dolorosamente con un sé frantumato ma contenuto dall’ambiente, dall’agire, dell’essere... nonostante tutto. I nostri strumenti sono tanti e possono essere tutti, come oggetti transizionali nella nostra stanza “laboratorio” colori, fogli,cartoni, creta, pezzi di stoffa, pentole, colla, matite, sono pronte ad essere usate, distrutte, conservate, mostrate. Per qualcuno, è necessario, aver dei limiti per contenere le ansie distruttive che lo invadono; altri devono essere stimolati senza essere invasi, per sentirci come un filtro fra le loro capacità ed i loro desideri; ad altri ancora basta la nostra presenza, come un “io ausiliario” forse mai sperimentato; in tutti i casi è uno scambio di creatività, un confronto di fantasie,un gioco accattivante, nella continua ricerca di sé. Quando un ragazzo, durante il processo di cura, dalla fase acuta che lo ha portato al ricovero passa a quella nella quale può riprendere i contatti con la realtà esterna, abbiamo ulteriori strumenti terapeutici: dalle uscite per il quartiere di San Lorenzo ( mercato, panettiere, negozietti, giornalaio, parrucchiere); alle visite nei laboratori artigiani (vetrai, marmisti, tipografi) con le maestre della nostra scuola; alle gite nei parchi e nei musei di Roma; ai grandi locali dell’associazione il Grande Cocomero, dove organizziamo feste e le più svariate “officine” artistiche e musicali insieme ai volontari di questa associazione che dal lontano ’98 ospita i nostri “laboratori protetti”. Gli proponiamo così un’area di sperimentazione del reale ed un contenimento/contatto che si modulano sulle possibilità riconquistate dal ragazzo, come se affrontasse un “fuori” che non è ancora tutta la realtà, ma che non è più solo il reparto/utero.

In uno dei tanti corsi di aggiornamento sulla creatività, un pedagogo, Carlo Mustacchi ci ha parlato di quanto sia importante per i ragazzi trovare in noi operatori un “io tessitore”, pronto a riprendere tutti i fili arruffati di un enorme tappeto, disponibile a rifare alcuni nodi ed a rivitalizzare i colori, ma anche capace a farsi condurre dalla creatività e dalla fantasia di chi sta sperimentando se stesso con tutte le proprie capacità ed i propri limiti. Il nostro obiettivo è quello di scoprire, di sperimentare e di condividere con i ragazzi tutto il vissuto di questo essere “artigiano” a servizio di se stesso e degli altri.

Con l’esperienza abbiamo capito che non potevamo improvvisaree, nella ricerca di strumenti che ci mettevano in contatto con la nostra e la loro creatività, dovevamo essere spontanei, non dovevamo lavorare troppo con le interpretazioni, dovevamo convivere con i paradossi, dovevamo essere costanti e capaci di condividere con il gruppo degli operatori ogni conquista, non potevamo essere statici, presuntuosi ed individualisti. Solo con questo continuo lavoro su noi stessi possiamo rispondere alle molteplici esigenze dei ragazzi che ci chiedono di coccolarli, di ascoltarli, di nutrirli, di contenerli, di rispettarli e di tenerli per mano nella difficile risalita da quel senso di vuoto e di disintegrazione che li paralizza. Anche tanti stimoli non diretti potrebbero trasformarsi in confusione e potrebbero far male, perché il caos non è creativo ed il loro vuoto non va riempito a caso o rendendoli passivi. Tutto va dosato, pensato, liberato, agito con i ragazzi e dopo elaborato e significato fra noi operatori, nell’équipe che lavora su ogni singolo ragazzo e nel gruppo più allargato. Attraverso un attento ascolto dei ragazzi abbiamo corretto tante nostre “certezze” ed ultimamente abbiamo deciso di proporre, con delle domande scritte, una sorta di “suggerimenti”alla conclusione di ogni laboratorio, avremo così un loro parere, daremo un senso al tempo condiviso, una memoria scritta alle nostre esperienze, un metodo che, utilizzando il presente, costruisca un modello futuro, ma più che altro potremo agire insieme.

Solo offrendo loro semplici strumenti quotidiani per ri/conquistare fiducia in se stessi e verso il mondo possiamo essere terapeutici: non c’è niente di troppo facile, e proprio quelli che “sanno fare tutto” hanno più difficoltà a farsi aiutare, negando il loro star male a se stessi ed agli altri.

Per essere creativi non bisogna fare “un opera d’arte”, ognuno crea mentre agisce, tanto più noi che lavoriamo in psichiatria; avere la pazienza di aspettare che un ragazzo riesca ad allacciarsi le scarpe per uscire con gli altri, superando il suo farsi passivo e dipendente ed intervenendo solo se le difficoltà sono maggiori delle sue possibilità…è un atto creativo; così contenere diventando sempre meno indispensabili; così stimolare senza essere richiedenti; così ascoltare senza intervenire; così fare qualsiasi cosa insieme senza imporci; se si riesce a rispondere ad un bisogno, senza fare confusione e sovrapposizione fra i propri e quelli altrui, allora si è concretamente creativi. Ma la creatività non può essere episodica perché i ragazzi devono sperimentare la continuità delle nostre azioni per “rincollare i loro pezzi” e si deve misurare con il quotidiano e con la vita programmata del reparto che, in questo momento di cura, sta “impersonificando” l’altro, l’esterno, il fuori da sé: dobbiamo condividere il piacere della ri/scoperta, del giocare, dell’amarsi, del ridere, dell’essere ironici, dell’accettarsi.

Un’ altra stimolante scoperta è stata quella di riuscire con quasi tutti gli operatori a superare gli steccati dei ruoli, condividendo una stessa finalità terapeutica, pur nelle nostre specificità, ed un senso di appartenenza al reparto: spesso un ragazzo ha fatto interrompere le pulizie ad un ausiliario per farsi coccolare, un infermiere si è improvvisato insegnante di nuoto o cicerone fra le rovine di Roma, un medico è andato al bar con un ragazzo per condividere uno strappo al “menù” ospedaliero…tutti disponibili ad esserci non per affermare noi stessi ma per rispondere alle richieste dei ragazzi.

Negli ultimi E.C.M. organizzati a Marzo dalla nostra divisione, abbiamo fatto un laboratorio diautobiografia per imparare a raccontarci e diventare più sensibili ed empatici ai frammenti di vita che quotidianamente i nostri ragazzi ci offrono nel loro fare quotidiano, e negli anni passati abbiamo fatto corsi di comico terapia per scoprire l’ironia e l’auto ironia pur nella sofferenza, di espressione corporea per trovare i confini del nostro corpo e saper offrire con armonia un contatto, di colore per scoprire l’intensità del linguaggio delle immagini e di un semplice tratto, di teatro e di mimi per riuscire ad esprimerci oltre le parole, e perfino di autodifesa per aver meno paura della violenza e dell’aggressività, nostra e dei ragazzi, che dovevamo imparare ad incanalare nel creativo. Abbiamo letto e studiato i sacri testi della psichiatria, scritto dispense e lavori sulle nostre scoperte ed esperienze, ci siamo ritagliati un’ora e mezza alla settimana di supervisione per esprimere, con uno psichiatra esterno al reparto, le nostre emozioni e le nostre paure, e chi può partecipare, scrive un resoconto di tutte le riunioni di reparto, che si svolgono una o due volte alla settimana, per discutere dei casi ricoverati in regime ordinario e diurno.

Questa è la nuova professionalità che dobbiamo plasmare, facendo tesoro di tutte le nostre nozioni infermieristiche ma diventando degli “operatori della creatività sufficientemente buoni”, un po’ avventurieri ed un po’ onnipotenti, quel poco che basta per incamminarci con delle certezze e tanta curiosità nelle patologie psichiatriche e nel vissuto del “non essere” e per “volare con i piedi per terra” insieme ai nostri ragazzi, scoprendo altri strumenti creativamente terapeutici e riabilitativiche consolidino quelli già sperimentati e trasformino quelli non più rispondenti ai loro bisogni/desideri.

Un nostro ragazzo psicotico alla fine del suo ricovero ci ha scritto: “A volte le mie idee sono così intense che si esprimono in lingue sconosciute ed indecifrabili”, sta a noi permettergli di utilizzare la nostra mente creativa per ri/scoprire la sua e stimolarlo, come strumento di crescita e di cura, all’accettazione di sé ed alla voglia di riscoprirsi potendosi finalmente fidare del mondo adulto.

Per dirla alla Marco Lombardo Radice, pioniere della psichiatria adolescenziale e nostro primo primario insieme a Giovanni Bollea nel lontano 1977, la nostra non è un’ambizione teorica, ma un “concretissima utopia” da offrire a tutti gli adolescenti come risposta alla loro costante e continua sfida evolutiva che rivolgono a noi adulti .

Bibliografia:

Peter Blos:“L’Adolescenza come fase di transizione” ,”L’adolescenza”.

Donald W. Winnicott:“Dalla pediatria alla psicanalisi”, “Gioco e realtà”.

Marco Lombardo Radice:“Una concretissima Utopia”.

Bruno Bettelheim: “Psichiatria non oppressiva”, “Il mondo incantato”.

S. Fioravanti, L. Spina: “La terapia del ridere”.

Arnaldo Novelletto: “Psichiatria psicanalitica dell’adolescenza” .

Carlo Mustacchi: “Ogni uomo è un’artista”.

Giugno 2005

Graziella Bastelli

Caposala coordinatrice UOC A Neuro Psichiatria Infantile

Azienda Policlinico Umberto I° Roma

Info su: www.azimut-onlus.org

 

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