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LINEE GUIDA DELLE ATTIVITA’ EXTRACLINICHE.

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La nostra esperienza consolidata nell’affrontare con un approccio psico-dinamico le gravi patologie psichiatriche che gli adolescenti, ricoverati al II degenza della neuropsichiatria infantile, devono affrontare insieme a noi operatori, ha confermato l’importanza delle attività occupazionali e ricreazionali nella complessità dei progetti terapeutici, dando finalmente significato e valore al lavoro quotidiano svolto dagli operatori non medici all’interno del nostro reparto degenza e del diurno, ed impegnandoci in un lavoro di ricerca e di elaborazione di specifiche linee guida per ogni attività.

Partendo da un approccio evidence-based, che utilizza protocolli diagnostici e terapeutici di provata efficacia, abbiamo iniziato a dare molta importanza alle osservazioni del vivere quotidiano, alle difficoltà riferite e dimostrate dal ragazzo/a nel misurarsi con attività creative, ludiche, scolastiche, per arrivare ad una"cultura della verifica" che non può dare niente per scontato, non può basarsi unicamente sulla quantificazione dei dati clinici , può utilizzare strategie e metodi simili ma non certo sovrapponibili, perché si serve dell’osservazione del singolo come espressione di bisogni, di possibilità, di capacità ed utilizza tutto ciò che viene espresso per arricchire e capire il lavoro psicoterapeutico più tradizionale.

Come scrive S. Mistura nel ‘98 "Un medico ed uno psichiatra non possono facilmente identificare la loro attività con il ruolo dello scienziato e del ricercatore obiettivo: di fronte al compito di "creare salute" non possono semplicemente attestarsi sull’esecuzione di metodi consolidati. Nel lavoro a contatto con la sofferenza umana c’è un di più che non si lascia pedissequamente definire dall’insegnamento teorico, ma che è semmai associabile alla sfera dell’arte: la pratica del lavoro dell’uomo con l’uomo oltrepassa la semplice applicazione del sapere codificato. Certo, questo immette l’operatore della sanità in una zona mal definita di incertezze, ma che propriamente può aprire lo spazio della creatività, per attraversare nuove strade, per formulare nuove ipotesi, evitando la staticità e favorendo il progresso delle conoscenze."

Ed una psichiatra statunitense, Nancy Andreasen in un suo articolo del ’99 afferma:

"Si potrà anche arrivare a comprendere le malattie sulla base dei meccanismi cerebrali, ma i disturbi colpiscono individui che vivono in contesti personali e sociali, ed i trattamenti devono essere erogati in tali contesti. Comprendere come la schizofrenia possa aver origine dal cervello non attrezza a parlare col malato o a farsi carico di una persona depressa o con tendenze suicidarie. Solo gli psichiatri sono formati per agire nel complesso punto di snodo fra cervello, individuo e società".

A questo punto potremmo citare tutti i contributi di D.W. Winnicott e di molti altri sull’importanza del gioco e della creatività per ogni individuo, sull’esistenza di questo fondamentale spazio transizionale per decodificare l’esistenza, sul significato dell’essere e del fare, e su come sia espressione di patologie il blocco o l’interruzione dei processi creativi nelle prime fasi dell’esperienza di vita di ogni bambino… ma per lasciare più spazio alle dirette esperienze che abbiamo fatto e stiamo continuando a costruire nella nostra pratica clinica, vogliamo lasciare le citazioni per raccontarvi ciò che abbiamo osservato ed utilizzato nel nostro continuo e cangevole, individuale e collettivo rapporto con i nostri ragazzi mentre viviamo all’interno di un reparto degenza e con loro scandiamo tempi ed esperienze, osserviamo difficoltà e capacità, condividiamo conquiste e limiti.

Info su: www.azimut-onlus.org

 

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