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LA STORIA DI OLIVIA

LA STORIA DI OLIVIA

(2°scheda)

Alcuni anni fa venne ricoverata nel nostro reparto per adolescenti con gravi patologie psichiatriche una ragazza di 16 anni, inviataci dal pronto soccorso, perchè trovata in strada in preda di una crisi dissociativa.

Aveva allucinazioni, urlava chiedendo aiuto ma rifiutava qualsiasi contatto, era in uno stato confusionario e molto agitata.Era molto bella, con due occhi da cerbiatta, alta e con una pelle olivastra che accompagnava il suo nome, proveniva dalla Nigeria, parlava poco l’ italiano ed era accompagnata dalla madre e da una zia che avevano il permesso di soggiorno gia da alcuni anni e con le quali fu possibile iniziare a ricostruire la storia di questa ragazza.Era venuta regolarmente in Italia da alcuni mesi per unirsi alla famiglia ma due fratelli maggiori erano ancora in Nigeria, non aveva presentato mai simili problemi se non una “crisi epilettica” pochi giorni prima con perdita di coscienza.Come succede in questi casi la ricoveriamo in reparto ma non le diamo farmaci ed iniziamo ad osservarla nella quotidianità offrendole colloqui terapeutici e i laboratori creativo occupazionali (colore, espressione corporea, cucina, cineforum, ecc) che facciamo con tutti i nostri ragazzi.Si distingue subito per la sua particolare capacità di apprendere, ma è come estranea all’ambiente e sembra avere una grande paura nel confronto con i pari, cerca gli adulti ma per poter regredire e farsi coccolare.Immediatamente sentiamo il bisogno di chiedere aiuto ad un mediatore culturale che possa spiegarci il vissuto di questa ragazza così lontana dal nostro essere occidentali e così capace di comunicarci qualcosa che però ci resta incomprensibile. Siamo fortunati perché in quel periodo una nostra infermiera frequenta dei corsi di ballo con un insegnante nigeriano della stessa etnia di Olivia (YORUBA-IBU) e così, consigliati da un neuropsichiatria, il prof. Mellina che da anni si occupa di immigrazione, lo invitiamo ad una nostra riunione.

Ci spiega subito che quello che ha colpito Olivia nella loro tradizione non è una malattia e la chiamano “ABIKU”perché c’è qualcuno (abiku-obange persona reincarnata che va e viene) che disturba il soggetto, e sottolinea che anche chi interferisce e non capisce il vissuto di questi soggetti, considerandoli malati, provoca un grande danno e l’impossibilità di guarire. Questa situazione colpisce alcuni individui sin dalla nascita ma si manifesta solo verso i 20 anni, se non individuata può portare nel 90% alla morte e sempre in un momento importante della vita (nascita, pubertà, matrimonio, inizio lavoro, e qualsiasi altro cambiamento importante), la morte segue sempre una grande festa che sta per celebrare l’evento.Può coinvolgere sia le donne che gli uomini (in questo caso si chiama AGU la persona reincarnata che disturba), le prime sono più belle, più intelligenti, e sono portate a fare tutto più in fretta delle altre ragazze; gli uomini invece sono portati a non concludere niente ma rischiano meno la morte.

L’evento che può salvare la vita a questi soggetti è una festa con offerte, musica e danze fatta dal guaritore per la regina del fiume (Mater-wather). Questa regina può essere vista solo dai guaritori che hanno 4 occhi (2 per vedere la regina, 2 per vedere le persone disturbate da Abiku-Agu) e solo loro possono sapere dalla regina quali sono le offerte necessarie per ritornare liberi. A volte dei guaritori, grazie ai 4 occhi, individuano le ragazze-i prima che si presenti l’evento mortale e con il rito riescono a risolvere il problema.Sono proprio questi 2 occhi che permettono al guaritore di mantenere il rapporto con la realtà e poter aiutare chi ha bisogno di essere curato.

Questi riti vengono fatti di notte, nelle prime ore del mattino, e nel fiume scelto dal guaritore. L’uomo porta sulla testa quello che deve offrire alla Regina del fiume, per la donna porta invece tutto il guaritore.Solo il guaritore e chi è direttamente coinvolto vedono quello che sta succedendo, tutti gli altri sentono solo la musica fatta con i tamburi che suonano a ritmo delle acque che scorrono, ovvero al ritmo che dà la Regina, dopo le offerte c’è una grande festa con balli e musica.

Fra le offerte che la Regina del fiume chiede più spesso ci sono le galline ed i motivo ci è stato spiegato con questa leggenda: in un paese abitato solo da animali non riuscivano ad eliminare dei pericolosi nemici. Convocati in assemblea per discutere il problema erano tutti presenti meno la gallina occupata a casa con i figli. La tartaruga va a chiamare la gallina che non vuole andarci e dice che sarà d’accordo con qualsiasi decisione verrà presa, La volpe, quando torna la tartaruga e riporta quello che le ha detto la gallina, propone di usare proprio lei come sacrificio contro i nemici. La gallina informata sulla decisione presa dall’assemblea, accetta di essere usata per il sacrificio per salvare il paese e perché le galline sono animali molto numerosi. Dopo il sacrificio diventano però animali coraggiosi e generosi.

Dopo questo incontro con il mediatore e dopo alcuni confronti con il prof. Mellina, avendo Olivia il permesso di soggiorno e dei parenti in Nigeria che poteva contattare un guaritore, crediamo che sia utile e sicuramente non dannoso da un punto di vista terapeutico per la ragazza percorrere PRIMA un percorso “di cura” legato alle sue tradizioni, rendendoci sempre pronti e disponibili ad un ulteriore ricovero con i nostri metodi occidentali. I genitori ne sono contenti ed organizzano il ritorno in Nigeria. Di Olivia non ne abbiamo più saputo niente direttamente da lei e dai suoi genitori, ma il mediatore ritornato dopo mesi al suo paesino (vicino al Biafra) ci ha detto di aver saputo di un rito ABIKU che aveva dati i suoi frutti.

Per onor di cronaca devo accennare anche delle resistenze da parte di alcuni nostri medici su questa decisione e del loro scetticismo, mentre molti di loro e tutti noi infermieri eravamo affascinati e conquistati dalla diversa possibilità che si stava intelligentemente ed empaticamente offrendo a questa ragazza aprendo finalmente una finestra sulla necessità, se si vuole veramente essere strumenti di salute e non solo di cura, di conoscere le tradizioni e le diverse culture di chi si rivolge a strutture sanitarie come le nostre.

In merito alle tradizioni di questa etnia, ed a conferma di quanto ci era stato detto dal mediatore culturale, Tobie Nathan, famoso etnopsichiatra, in un suo lavoro sull’autismo “Costretto ad essere umano” racconta che quando nasce un bambino si interroga il Fa (fato-Destino) e si chiede chi lo abbia inviato in questo mondo, a chi assomigli, chi sia, di quali parti del passato della famiglia sia stato caricato (ovvero deve farsi carico), se venga per il bene della famiglia. Una volta che il Fa si è pronunciato sull’identità dell’antenato che si è incarnato in lui, quest’ultimo diventa il “joto” (lo spirito tutelare) del bambino ed uno dei nomi del bambino sarà quello del suo joto.

Il neonato diventa oggetto di investigazione su vari registri:

1) l’ambiente che lo ha circondato durante la gravidanza nel considerare i sogni della madre e dei parenti prossimi;

2) l’apparenza fisica osservandolo per tre giorni dalla nascita per determinare i vari tratti somatici; 3) il carattere dalle sue prime reazioni agli stimoli fisici, emotivi ed affettivi.

Solo dopo questo verranno attribuiti al bambino 4 nomi che condenseranno le circostanze materiali, psichiche e sociali che presiedono alla sia nascita e quindi le sue “coordinate”. Il primo nome (Orutu amontorunwa) è quello che il bambino ha riportato dall’aldilà e che esplica le circostanze del parto. Il secondo (Orutu abibo) descrive le caratteristiche familiari al momento della gravidanza. Il terzo (Oriki) i caratteri personali fisici e psichici, che si riconoscono nel bambino stesso o che gli si augura di acquisire. Il quarto, infine, serve a riprendere il linguaggio familiare. Nel caso in cui il gruppo si sbagli nell’imposizione del nome, o assegni un nome incompleto o inadeguato, il bambino può ammalarsi o manifestare il suo disagio attraverso manifestazioni caratteriali e comportamenti che costringono la famiglia a rincominciare il processo di denominazione.

Inoltre tra gli Yoruba quando un bambino presenta malattie bisogna offrirlo allo spirito del fiume, perché il suo disagio dimostra che questo è un “bambino delle acque”. Solo attraverso questo rituale si può arrivare alla guarigione recuperandolo al mondo degli esseri umani ed offrendo allo spirito dei doni materiali in cambio del bambino.

Info su: www.azimut-onlus.org

 

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