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La riabilitazione

LA RIABILITAZIONE NELLA CURA DELLE PATOLOGIE PSICHIATRICHE ADOLESCENZIALI.

UNA NUOVA IDENTITA’ FRA ESPERIENZE, CREATIVITA’ E FANTASIA.

Graziella Bastelli1Caposala coordinatrice del reparto degenza e del diurno post ricovero, UOC A del D.S.N.P.R.E.E., Azienda Policlinico Umberto I°, formatrice degli operatori sanitari nel campo della Riabilitazione.

Dedico questo scritto e tutte le scoperte scaturite nella mia esperienza lavorativa a Marco Lombardo Radice, neuropsichiatria infantile che, con le sue intuizioni, la sua professionalità ed il suo mettersi in gioco, ha offerto agli adolescenti, con patologie psichiatriche, uno spazio di cura e di ascolto rispondente ai loro bisogni specifici di crescita. La sua prematura morte ci ha lasciato in eredità questa “Concretissima utopia”e noi, i suoi operatori, abbiamo accettato la sfida..

Premessa

Nel reparto II° degenza della Neuro Psichiatria Infantile, Azienda Policlinico Umberto I°, sono stati sperimentati una serie di percorsi riabilitativi che confermano, nel loro divenire, la necessità di confrontare, con costanza e professionalità, teoria e prassi affinché la risposta assistenziale si dimostri concretamente rispondente ai bisogni di cura e prevenzione.

I nostri giovani utenti presentano gravi patologie psichiatriche spesso rese ancora più dolorose e confuse dall’incapacità di ascolto e di accettazione della loro sfida da parte di un mondo adulto distaccato ed insensibile, dalla sostanziale involuzione della risposta sanitaria sempre più rivolta al privato, da modelli culturali che puntano sullo sviluppo di un individualismo antitetico al vero rafforzamento del Sé e della autostima necessari per affrontare e partecipare ad una vita collettiva.

Anche la possibilità di proporre percorsi di cura diversificati hanno fortemente risentito di queste pressioni involutive rispetto al diritto di sanità e salute. I finanziamenti rivolti alla prevenzione sono completamente spariti dai piani sanitari nazionali e regionali. Tutti denunciano l’aumento delle patologie e dei disagi psichiatrici e abbassano l’età delle loro manifestazioni, ma nei quartieri e nei contesti scolastici, oltre a qualche sportello di ascolto, non esistono spazi, “oggetti transizionali” (Winnicott), attraverso i quali gli adolescenti possano costruire socialità e confronto insieme ad adulti capaci di contenere le ansie relative alle loro trasformazioni. Al contempo, vengono proposti nuovi farmaci e molti disagi vengono considerati di origine organica; solitudine e depressione aumentano in modo direttamente proporzionale ai casi di suicidio e di violenza di branco; nuove sostanze vengono sperimentate a tutto danno psicofisico da un numero sempre più crescente di adolescenti e la dipendenza da qualcosa e/o da qualcuno è uno dei più offerti elementi di identificazione giovanile (Piano Sanitario Nazionale).

Inoltre nel Lazio ci sono solo 12 posti letto per il ricovero di adolescenti con gravi patologie psichiatriche e solo il 4% della possibile richiesta di cure in strutture adeguate viene adeguatamente accolta, obbligando questi giovani pazienti e le loro famiglie a rivolgersi ai Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura ed a strutture private per adulti (Gruppo di lavoro per l’Emergenza Psichiatrica).

L’esperienza della riabilitazione.

In questo tragico palcoscenico di sopravvivenza e non di vita, noi dobbiamo lavorare con chi da un latente disagio sta attraversando un totale annichilimento del Sé, con chi sta chiedendo aiuto attraverso manifestazioni patologiche, con chi ha rotto ogni contatto con la realtà perché ne è rimasto profondamente deluso e ne è stato a sua volta rifiutato.

I canali farmacologici e psicoterapeutici da sempre inevitabili strumenti per un’adeguata risposta di cura devono trovare nuovi alleati, devono sperimentare nuovi strumenti riabilitativi ed espressivi per ampliare l’offerta di ascolto da offrire ai nostri giovani utenti (Carratelli-Ardizzone).

Per questi motivi durante il corso degli anni, attraverso continue sperimentazioni, abbiamo verificato l’importanza della riabilitazione che è diventata un concreto strumento di cura nell’attivazione di una serie interminabile di laboratori espressivo-creativi.

Questi laboratori si sono dimostrati indispensabili per permettere non solo la ripresa di un contatto con la realtà, ma principalmente per offrire strumenti meno conosciuti e sperimentati della parola e della razionalità, per comunicare e condividere i disagi subiti e vissuti. Aver iniziato prima di tutto noi, come operatori della salute, a sperimentare laboratori creativi, dal colore, alla fotografia, al ballo, alla musica, al cineforum, alla cucina, al teatro, alla cartapesta, alle maschere, alla lettura, ai giornaletti di reparto, alla poesia, alla scrittura, ai giochi di movimento, al mimo, ci ha permesso di offrire ai giovani pazienti una varietà di interventi rivolti alle diverse patologie.

Non si proponeva più tutto ai nostri ragazzi, per riempire i tempi morti di un sofferente ricovero in ospedale, ma si sceglieva una singola attività che rispondesse in modo focale ai singoli disagi. E’ così che abbiamo sperimentato come durante le fasi acute di un esordio psicotico i laboratori di colore avessero un importante ruolo comunicativo. Abbiamo usato per alcuni disturbi del comportamento il laboratorio teatrale con ottimi risultati contenitivi. La macchina fotografica e la cinepresa sono diventati il terzo occhio per alcuni ragazzi con problemi dismorfofobici o affetti da gravi forme di depressione. Il corso di cucina ha permesso a ragazze con disturbi alimentari di venire a contatto in modo più naturale con i cibi e permettendo loro di esprimere voglie e desideri. Il cineforum è stato particolarmente utile per favorire proiezioni ed identificazioni. Il ballo ha ridato corpo e confini a molti senza più pelle psichica. L’uso di strumenti musicali ha permesso di sperimentare un’aggressività non distruttiva ma creativa. La lettura di favole e racconti, il riuscire a scrivere poesie ed inventare storie ha fatto rivivere i propri ricordi ed ha riattivato memorie oscurate dal dolore di abbandoni e lutti subiti (Mustacchi).

Attraverso ogni laboratorio i ragazzi hanno potuto soprattutto misurarsi con altri pari (Maltese Monniello), hanno riattivato la propria autostima meravigliandosi dei risultati ottenuti e della presenza costruttiva di adulti capaci di entrare in punta di piedi nei loro spazi ed interessi, senza invasione ed aspettative, presenti per essere cornice di un quadro che erano loro a dipingere e ad attaccare al muro per farlo vedere, solo quando si sentivano pronti a rivolgersi, di nuovo, verso il mondo esterno.

Un grande aiuto ci è stato fornito dalla possibilità di utilizzare spazi, strumenti e volontari di un’Associazione di Volontariato del nostro quartiere, il Grande Cocomero2Questa associazione, sita a Via dei Sabelli 88 A, nei locali di una scuola professionale in disuso concessi dal Comune di Roma dal 1994, si rivolge con laboratori espressivo, creativi e musicali a bambini ed adolescenti del quartiere di San Lorenzo, per condividere, come adulti che si vogliono mettere in gioco, il faticoso percorso di crescita., che ormai da 8 anni ci permette di uscire dallo specifico luogo di cura per attivare questi canali espressivo creativi e per iniziare lentamente un protetto affacciarsi sul mondo. Questi spazi sono molto grandi e ricchi di strumenti musicali, artistici e tecnologici, ma principalmente sono disponibili a cambiare secondo le necessità ed i desideri dei nostri ragazzi, sia quelli ricoverati in regime ordinario che in diurno, che con una o più frequenze settimanali partecipano ai laboratori di ballo, di teatro, di musica, di computer, di cinematografia e di ripetizioni.

Naturalmente non sono sempre rose e fiori ed abbiamo dovuto imparare a convivere con la noia e la distruttività, con i rifiuti e le opposizioni adolescenziali, avendo però sempre dei confini creativi da anteporre alle loro patologie e per smorzare le nostre aspettative ed il nostro essere onnipotenti nel processo di cura.

E’ più facile per chi cura rispettare i tempi di chi deve ricevere le cure se non ci si pone un obiettivo troppo delineato e rigido, e la fantasia permette a tutti di potersi costruire una nicchia dove riposarsi ed aspettare. Il poter noi curanti fare un disegno o lavorare con la creta mentre alcuni nostri pazienti rifiutano qualsiasi attività, diventa per il ragazzo un’esperienza concreta vissuta con la manualità di altri non richiedenti nei suoi confronti e per l’operatore un canale di scarico alla frustrazione di un rifiuto. Spesso chi rifiuta qualsiasi attività inizia a partecipare anche solo con lo sguardo e chi già partecipa coinvolge, come pari, gli altri anche nella costante sfida con il mondo adulto che è stato capace di accettare il rifiuto e di non farsi distruggere dall’inattività.

L’adulto si misura con il fare adolescenziale ed è il primo a mettersi in gioco per tirarsi da parte quando tutto inizia a fluire con curiosità e naturalezza.

Molti dei nostri ricoverati, per i quali la psicoterapia si è dimostrata inaccessibile, hanno iniziato a comunicare attraverso strumenti espressivo creativi, questi primi contatti sono stati indispensabili all’ alleanza terapeutica, principale strumento di cura per affrontare qualsiasi patologia psichiatrica.

Noi li abbiamo affrontati su un terreno neutro, comune a tutti, patrimonio non dei singoli individui ma energia dell’essere, che metteva in campo la creatività e la fantasia come strumenti curativi riabilitativi, meno diretti e meno strumenti, ma che permettevano di esprimere sentimenti, vissuti, abilità, conoscenze, emozioni senza dovergli dare un immediato senso né significato.

Il senso ed il significato lo abbiamo costruito un po’ per volta lavorando prima di tutto sulla formazione degli operatori, sulle loro conoscenze e sicurezze, sul loro sentirsi gruppo nelle difficoltà e nei risultati, sul sapersi mettere individualmente in discussione per arrivare ad un agito comune a tutti…od almeno alla maggior parte. Ed ancora oggi stiamo lavorando su noi stessi per rendere la nostra professione condivisa e condivisibile, per saperne di più sulle patologie psichiatriche, per accettare il non senso di molti comportamenti adolescenziali, per non pretendere sicurezze in un campo così minato da paure e sofferenze, per non darci mai per vinti rispetto alle difficoltà, per riuscire ad aspettare di capire lavorando anche sul silenzio. Ma più che altro insieme ai nostri ragazzi abbiamo imparato a ripercorrere le nostre adolescenze, a tenerli nella mente e nel cuore per dare un senso al loro esistere anche se frantumati, e ci stiamo impegnando per aumentare la nostra capacità di ascolto e di condivisione.

Una delle difficoltà maggiori che è motivo di burn out nell’equipé, (Filippi) è trovare la giusta distanza fra l’autoritarismo e l’autorevolezza, fra l’accettazione totale ed il rifiuto, fra il voler piacere a tutti i costi e l’essere adulti che non abdicano la sfida.

Brevi considerazioni conclusive.

Con patologie come quelle che presentano i ragazzi particolarmente deprivati, capaci di sedurre e di utilizzare sadicamente le nostre insicurezze, molto violenti con alcuni operatori e particolarmente infantili con altri, dobbiamo rafforzare le regole condivise, richiedere più supervisioni ed utilizzare i laboratori con particolare fermezza, poiché solo il lavoro di gruppo può salvarci da un pericoloso coinvolgimento individuale che non aiuterebbe il percorso di cura, gli riproporrebbe la dualità e la contrapposizione vissuta in famiglia e non gli darebbe la possibilità di sperimentare un nuovo rapporto con adulti che resistono alla violenza ed alla distruzione dei loro attacchi.

Adulti che sono capaci di essere coerenti e costanti e che devono riuscire a stabilire con i ragazzi un rapporto di fiducia che deve essere sperimentato quotidianamente nella vita di reparto. Scrive Winnicott “La cura è l’incontro tra la dipendenza e la fiducia. L’incontro tra qualcuno che necessita di dipendere e l’altro che offre fiducia, è vivo e disponibile” e ribadisce Bettelheim “Il paziente, nella misura che ha fiducia, può rinunciare alle difese patologiche che ha eretto per proteggersi dai pericoli reali ed immaginari e può concentrasi interamente sul funzionamento interiore della sua mente”, confermando il bisogno per gli operatori di essere principio di realtà nell’offrirsi come sperimentazione di nuovi rapporti.

Dopo i “ricoveri difficili” ci serve sempre un po’ di tempo per pensare al nostro vissuto ed alle emozioni provate e, per poter aumentare la nostra esperienza professionale e fortificarci nell’umanizzare la cura, abbiamo bisogno di condividere i nostri limiti e le difficoltà soggettive, parlandone a “sangue freddo”in momenti strutturati di formazione, ed utilizzando, come è già avvenuto lo scorso anno e verrà ripetuto negli ECM di Marzo 2005, i laboratori di autobiografia (Anzaldi).

Questi laboratori non li sperimentiamo, come abbiamo sempre fatto per quelli espressivo creativi, per riproporli ai ragazzi, poiché attivare la memoria con gravi patologie psichiatriche e non in un contesto specificatamente ed individualmente terapeutico, potrebbe essere molto destrutturante e pericoloso, ma li utilizziamo unicamente come operatori per permettere alla nostra memoria episodica di attivare un viaggio nel tempo e dare delle motivazioni alla scelta di questo nostro lavoro così specifico, ricco, particolare e faticoso (Ardizzone). Ripercorrere i ricordi della nostra vita passata che ha inevitabilmente determinato, anche nel campo lavorativo, le scelte del presente, ci permette di costruire un futuro collettivo che ci fortifichi nell’affrontare le patologie psichiatriche e le specifiche e bizzarre contraddizioni dell’adolescenza e che ci faccia sperimentare la solidarietà del gruppo e scoprirne l’identità condivisa.

Bibliografia

*L. Anzaldi:

“Tra pratiche autobiografiche e lavoro sociale” (2003)

*I. Ardizzone:

“Delirio autobiografico e soggettivazione patologica” E.C.M. UOC A (2004)

*Gruppo di Lavoro “Emergenza psichiatrica in adolescenza”2004 Regione Lazio

*Piano Sanitario nazionale 2002-2004

*B. Bettelheim:

“Psichiatria non oppressiva” (1976)

*T.I. Carratelli, I. Ardizzone:

“ I disturbi di personalità in adolescenza: percorsi diagnostici e riabilitativi E.C.M.

UOC A (2004)

*L.S. Filippi:

“La prevenzione del burn out del personale non medico in un reparto per

adolescenti con gravi patologie psichiatriche” E.C.M. UOC A (2005)

*M. Lombardo Radice:

“Una concretissima utopia” (1991)

* A. Maltese G. Monniello:

“Adolescenza e gruppo” (2001)

*C. Mustacchi:

“Ogni uomo è un’artista” (1994)

*D.W.Winnicott:

“Dalla pediatria alla psicanalisi”(1958); “Gioco e realtà” (1971)

Info su: www.azimut-onlus.org

 

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