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SALUTE E LAVORO: QUALE RAPPORTO CON I MOVIMENTI !?!

Il sistema capitalistico che divide e settorializza in una logica di profitto ogni forma di vita, dall’individuo alla natura, è colui che nella gestione/trasformazione del diritto alla salute, inteso come cura, prevenzione riabilitazione, nel corso degli ultimi trenta anni, in una lenta ma inesorabile agonia, ha decretato l’involuzione del sistema sanitario nazionale trasformando la salute da diritto a fonte di profitto e scollegandola dal bisogno complessivo di vita.

Tale logica di mercificazione non ha trasformato solo la risposta concreta ai bisogni ma è diventata strumento di un condizionamento perverso che ha invaso in primo luogo chi era preposto a garantirla (dai legislatori, ai politici, ai sindacati, al mondo della cooperazione, a tutti gli operatori sanitari di qualsiasi ruolo). Il sistema sanitario nazionale e quelli regionali sono unicamente finalizzati alla cura del danno e delle malattie, ignorano e depotenziano la prevenzione, finanziano unicamente le aziende con posti letto e le malattie più remunerative attraverso il pagamento dei DRG (raggruppamenti omogenei di diagnosi), annientando la complessità e la necessità dei compiti territoriali e domiciliari. Apriamo una piccola e dolorosa parentesi sul ruolo dello stato in merito all’involuzione del sistema sanitario pubblico, che abbandona il suo mandato costituzionale nei confronti della salute e si propone come colui che, in una logica di mercato, interviene nella gestione e nella garanzia dei servizi sanitari solo dove il privato non è in grado di assicurarli. Viene così approvata la “devolution” federalista che stabilisce che i cittadini italiani non hanno più gli stessi diritti, poiché ogni regione ha pieni ed esclusivi poteri in materia di salute e deve fare i conti con i propri bilanci e con le leggi finanziarie nazionali dove vengono sanciti riduzioni di fondi e di servizi sanitari pubblici (da 10 posti letto ogni 1000 abitanti a 5, compreso 1 di riabilitazione). Viene trasformato il finanziamento per la sanità dato alle regioni (Livelli Essenziali di Assistenza) e dalle regioni, da pro capite (numero di abitanti) al pagamento dei DRG che stabiliscono il rimborso regionale alle singole aziende sanitarie per le diverse patologie trattate secondo la gravità e le esigenze di cura (basta solo citare lo scandalo dell’incremento del 33% negli ultimi 8 anni dei parti cesarei rispetto a quelli eutocici costringendo alcune regioni a porre un tetto di sbarramento per il loro pagamento, visto che in alcune città della Campania e del Lazio il 70% di donne doveva subire un cesareo per incrementare i budget aziendali!?) e per tutte le patologie viene stabilito un tempo massimo di ricovero (da 16 giorni negli anni ’80 a 7 come media attuale), superato il quale, diventa improduttivo per l’azienda il servizio prestato. L’individuo è sotto ogni aspetto di vita un’enorme fonte di profitto e nel campo della salute, grossa contraddizione, lo diventa se si ammala. In questa logica il corpo viene sezionato e diviso come in una mappa geografica dove ogni organo viene visto separatamente dagli altri, la mente viene “curata” solo se pericolosa per la logica di controllo e rischio sociale, la salute psicofisica non è l’obiettivo da perseguire per il raggiungimento di un equilibrio individuo-collettività. La salute non come strumento per abbattere le contraddizioni imposte da questo sistema (sfruttamento, precarietà, privatizzazioni, potere medico, inquinamento, guerre, solitudine, depressione, svendite sindacali, clientelismo politico), ma contenitore asettico e fonte di profitto per garantire la loro interminabile e costante riproduzione.

Tutto diventa indifferenza, anche se a parole tutto viene denunciato attraverso le statistiche ISTAT ed i mas media: -aumentano le morti bianche (1250 nel 2006, più di 3 al giorno, ben 144 nei primi due mesi del 2007e altre 4 tragedie il 13 aprile scorso) e gli infortuni sul lavoro (1.000.000 con un 50% fra i 18 ed i 34 anni, con le donne che ne subiscono il 25%, gli stranieri tre volte di più degli italiani ed i precari che li vedono raddoppiati, nei primi 2 mesi del 2007 siamo già a 133 mila) a questi numeri vanno aggiunti i 200.000 infortuni all’anno che si stimano per il lavoro nero e quindi non denunciati. -La legge 626 per la sicurezza nei posti di lavoro, fra emendamenti e ritardi applicativi, è di fatto uno strumento obsoleto per la prevenzione dei danni e gli stessi controlli, quando vengono effettuati, non portano a nessun cambiamento. – Si dimezzano i posti letto nelle aziende sanitarie e si riducono drasticamente i servizi territoriali (meno il 50%) senza nessuna programmazione sanitaria regionale e senza più alcun correlazione nazionale aumentando le carenze a sud ed imponendo di fatto le “tradotte della speranza”. -Vengono chiusi piccoli ospedali, pronto soccorsi, consultori, centri di salute mentale mentre aumentano in tutto il territorio nazionale i bisogni ed i disagi, intere comunità montane e piccoli paesi vengono totalmente privati di servizi sanitari indispensabili mentre nelle città restano le sole aziende sanitarie che, oltre a garantire male la cura. considerano un guadagno secondario la funzionalità ambulatoriale e ci sono lunghe attese per visite e ricerche diagnostiche. -Tutto ciò che riguarda riabilitazione ed assistenza agli anziani, disabili e tossicodipendenti viene privatizzato scaricando altri costi e ruolo di cura sulle tanto decantate “famiglie” che così subiscono un aumento del 30% sul loro contributo alle spese sanitarie fra farmaci, badanti e servizi e le donne, in primo luogo, sono costrette a diventare le “infermiere” dei vari parenti dimessi anticipatamente dagli ospedali o senza autonomia e sistemazione abitativa. - I deficit dei bilanci delle aziende sanitarie continuano a precipitare in un baratro dove gli sprechi e le esternalizzazioni sono fauci insaziabili, non certo per l’efficacia ed efficienza della risposta alla richiesta di salute, ma per i pagamenti dei lauti stipendi dei numerosi dirigenti e loro conseguente staff, per le spese farmaceutiche finalizzate a favorire le multinazionali dei farmaci, per l’utilizzo illegale”di prestatori d’opera”, lavoratori di ditte e cooperative, che sono per le aziende una spesa maggiore delle assunzioni dirette ormai bloccate dalle varie finanziarie, a causa dei tanti intermediari legati ai diversi partiti e sindacati.

Questa logica invasiva e la lenta trasformazione della salute da diritto a profitto, ha condizionato in buona parte anche i movimenti che si occupano di salute, frazionando le loro basilari attività nel denunciare specifiche illegalità ed abusi per una categoria di cittadini, per un periodo di vita, per una mirata condizione di lavoro, e non riuscendo ad unificare tutte questi importanti e significative esperienze in un unico movimento che faccia della salute uno strumento indispensabile di vita e che sappia duramente contrapporsi ad una logica di mercificazione e di settorializzazione. Il non potenziare e puntare al fine, ma il rivolgersi a tanti parti di un insieme, riduce l’incidenza dei cambiamenti e la possibilità di trasformare questa logica di morte che non fa vivere e condividere il benessere nella temporalità del quotidiano.

Inoltre il non aver dato a chi richiede salute la capacità di gestire i propri bisogni e di esserne protagonisti scoprendo e verificando che, il mettersi insieme come gruppo, crea e potenzia una grossa capacità autocurativa nel superamento delle paure e dell’ individualità, ha permesso al potere medico di giocare sulle debolezze e l’ignoranza indotta imponendo la delega sui bisogni e sull’autogestione del proprio corpo/mente.

Eppure già all’inizio dello scorso secolo (1905), un medico americano, il dott. H.J.Pratt, che si occupava di una clinica di Boston della cura della tubercolosi osservò che i pazienti del suo ambulatorio, se riuscivano a comunicare i propri problemi confrontandosi con gli altri, avevano risultati terapeutici superiori a chi si isolava e cercava individualmente di affrontarli. Propose allora delle riunioni con gruppi di 50-100 pazienti e, con un altro medico (“il visitatore amorevole”), cominciò a spiegare al gruppo di pazienti coinvolti le cause della loro malattia, le attenzioni da prendere, il rapporto fra la vita di tutti i giorni e ciò che veniva loro richiesto per curarsi. Ognuno poteva liberamente raccontare il proprio vissuto fatto di paure, rifiuti, isolamento, sottomissione, delega, bugie, non detti, rendendosi conto di non essere solo nel bisogno/desiderio di guarire e nelle difficoltà da affrontare ed iniziarono, attraverso obiettivi condivisi, ad essere i principali artefici della loro guarigione. Questa identificazione, che lui chiamò “emulazione e spirito di fratellanza”, portò ad interagire molti pazienti che furono quelli che ebbero risultati migliori nel processo di cura e di riabilitazione. L’influenza benefica che offriva il gruppo attraverso la comunicazione, l’elaborazione ed il contenimento del danno dimostrava che il fisico e la psiche non possono essere separati nella soggettiva rappresentazione del sé corporeo e che una funzione di rispecchiamento con una collettività in ascolto e capace di condividere favoriva il processo di autostima ed una partecipazione diretta al proprio equilibrio psico fisico. Tutto il suo lavoro e le osservazioni dei pazienti furono scritte sui diari di bordo che, successivamente, da altri psicoterapeuti, come Bion ed Winnicott (1966-68), furono utilizzate per teorizzare la funzione riabilitativa della psicoterapia di gruppo nella cura non solo delle patologie psichiatriche. Ma per tutto quello che abbiamo detto fino ad ora, per garantire al potere politico, economico e medico il controllo/gestione della salute, la possibilità di costituire gruppi di autocura viene a volte permesso ed altre volte strappato solo per alcune patologie (vedi l’esperienza degli alcolisti anonimi o i gruppi di psicoterapia) ed il processo di cura è delegato al conduttore, sempre detentore di un sapere, che non ha il fine di rendere ogni individuo un soggetto collettivo membro di un gruppo che trova, attraverso le resilienze individuali, le energie di cambiamento. Così ne resta il leader indiscusso che non stimola gli agiti e li significa, che non permette una “cultura altra” fatta di incontri delle diversità, ma che impone la propria cultura, il proprio agire, e condiziona la razionalità e le emozioni collettive. Permettetemi di raccontare un’esperienza molto significativa per il mio vissuto che risale al 1974, anno in cui al Policlinico Umberto I° di Roma è stata condotta dai lavoratori, senza la gestione di nessun sindacalista o politicante, una lotta molto significativa ed incidente sul diritto e sull’autogestione della salute e della dignità lavorativa che è durata alcuni anni.

Siamo prima della riforma sanitaria del ’78 ed ancora le diverse mutue con diverse possibilità assistenziali gestiscono il diritto a cure e salute. Un piccolo gruppo di lavoratori, insieme a noi compagni dell’allora collettivo lavoratori e studenti del policlinico, ora Cobas sanità, università e ricerca, partendo dai bisogni salariali e dalle condizioni disumane di lavoro, iniziano a lottare per gli ambulatori gratuiti, per trasformare la disumanità subita ed imposta, per trovare una unità di agiti con gli utenti ed i pazienti, per opporsi duramente allo strapotere baronale ed ai suoi eclatanti interessi privati e clientelari. Dopo alcuni mesi di assemblee, cortei, volantini e riunioni nei reparti per spiegare i motivi della lotta, l’obiettivo dei lavoratori, per superare e combattere contro ricatti e divisioni, diventa quello di permettere ai malati ed ai loro parenti di scoprirsi parte attiva delle mobilitazioni. Quello che riportiamo è tratto da un libro “I proletari e la salute” di Nicoletta Stame e Francesco Pisarri che, raccontando il nascere ed il crescere di questa lotta, così riportano alcuni interventi assembleari: “Un malato di fegato racconta che gli hanno dato una dieta di uova e che, oltre alla degenza pagata dalla mutua, è costretto a pagare 22.000 lire al giorno. Una malata, ricoverata in clinica ostetrica, racconta le difficoltà per farsi ricoverare. Il dott. Marcelli prima le dice “Non ha la faccia di chi deve partorire” poi accondiscendente aggiunge “..se conosce un’ostetrica, paga 80.000 lire per farsi assistere al policlinico.. certo deve chiude occhi, orecchi e tutto; altrimenti viene da me a Villa Mafalda e sono 200.000 lire”. Un’altra donna racconta che aveva una gravidanza extra uterina e che perdeva sangue “Sono stata lasciata in sala travaglio, dove tutte le altre strillavano, mi preparavano per operarmi ma nessuno mi diceva cosa mi stava succedendo”….Altri interventi e denunce di lavoratori su farmaci sperimentali, su esami dolorosi protratti per ore e senza nessuna privacy per fare didattica davanti a decine di studenti, sul funzionamento delle camere operatorie con malati non operati dopo essere stati pre-anestetizzati perché il chirurgo di turno doveva andare nella più remunerativa clinica privata, dei ricoveri pilotati dagli studi privati dei luminari della scienza e dei famosi foglietti di “intrasportabilità” per non far passare, chi aveva pagato o chi era raccomandato, dalle accettazioni ghetto e garantir loro un posto letto nella clinica universitaria. Sempre dal libro succitato:“Una di queste assemblee si conclude in modo esemplare. Un malato cardiaco dice “Mi hanno fatto la prognosi cardiaca, adesso ho avuto un malore e mi hanno portato al deposito. Non so nemmeno come sono venuto qui: mi hanno operato al San Camillo e poi mi hanno trasferito con l’ambulanza, io non ci volevo venire.. adesso al deposito dicono che per me non c’è posto.. ma per altri si, vengono lì e li mandano in chirurgia. A me vogliono mandarvi a Villa Fiorita, dove non sono capaci di curare la mia malattia.. ora chiedo a voi cosa posso fare, anche io sono un operaio, ora in pensione.. prima ero un manovale. In questi giorni ho potuto vedere che i lavoratori qui sono buonissimi, si massacrano, ma non hanno quello di cui dovrebbero disporre e non è colpa loro se le cose stanno così”. Una delegazione dell’assemblea accompagna il paziente all’accettazione ed ottiene il suo ricovero in cardiochirurgia…il posto viene trovato “miracolosamente”!! Dopo alcuni mesi i pazienti di un reparto di malattie infettive iniziano uno sciopero della fame contro le condizioni invivibili del ricovero: dal vitto immangiabile alla sperimentazione di un farmaco sulla propria pelle e si rifiutano di fare da cavie. Con i lavoratori ed i loro parenti fanno riunioni, assemblee ed incontri con la direzione di clinica e quella sanitaria. Il potere medico inizia a preoccuparsi di questa partecipazione e gestione diretta dei pazienti alla vita di reparto ed alle loro cure, tentano di insabbiare con ogni mezzo la protesta, dalle concessioni alla repressione…il vitto diventa più decente, i più combattivi vengono dimessi, il farmaco sperimentale miracolosamente sparisce…e si arginano i motivi della lotta…l’esperienza prende corpo nei volantini e nelle assemblee dei lavoratori ma i ricatti, le paure, le divisioni e le logiche di gestione, nonostante la riforma sanitaria del ’78 che sancisce.. purtroppo solo sulla carta il diritto universale di salute.. non permettono diffusione e continuità a esperienze come queste che restano episodi e non si consolidano come metodi di gestione ed autodeterminazione della salute.

Da una parte chi richiede salute e cura ed ha bisogno di non sentirsi passivo ed estraneo a quello che sta vivendo, perchè come scrive Winnicott, psicoterapeuta inglese, “ la cura è l’incontro tra la dipendenza e la fiducia. L’incontro fra qualcuno che necessita di dipendere e l’altro che offre fiducia, vivo e disponibile”, dall’altra, chi come noi, e con le eccezioni che confermano la regola, lavora in sanità non come operatori della salute. Infatti, nonostante tutti i profondi intenti scritti su sacri testi, leggi, contratti e nuove professionalità, i lavoratori del sistema sanitario sono uno dei principali strumenti del mantenimento di una logica di dipendenza, di sottomissione, di delega, di mercificazione del diritto alla salute utilizzati e condizionati a produrre e subire danno e malattia, perché si devono confrontare con sofferenza, dolore, morte senza essere professionalmente umani, perché vengono potenziati a diventar “brutte copie” dei medici realizzando unicamente un rapporto di potere con i più deboli, perchè subiscono carichi insopportabili di lavoro, precarietà ed esternalizzazioni che annientano qualsiasi aspetto di dignità lavorativa.

Cosa è possibile proporre e fare partendo dalle esperienze passate, mettendole a confronto con la realtà imposta del quotidiano e progettando collettivamente le trasformazioni indispensabili per un futuro che concretizzi il diritto alla salute?

Noi come cobas sanità, pur partendo dalle nostre specificità, attraverso le reti di salute e di educazione stiamo proponendo nei territori ai movimenti già esistenti, ai singoli cittadini, nei forum europei e mondiali, di utilizzare le diverse esperienze per amplificare e dare voce ai vari bisogni di salute come espressione di vita. Mettere a confronto lavoratori della sanità pubblica e privata, ditte e cooperative dei servizi, parenti di anziani e disabili, casalinghe super sfruttate, immigrati senza diritti, chi lotta per la difesa dell’ambiente e contro le privatizzazioni dei servizi, significa iniziare un percorso di unificazione dei bisogni: tante piccole lotte che chiamano tutti a partecipare, a condividere, a progettare insieme, anche ciò che potrebbe sembrare non un immediato proprio bisogno o che si demonizza per paura di essere coinvolti nel dolore e di dover elaborare i lutti e le separazioni da parti del proprio corpo e dai propri cari!

Preventivi nelle lotte per fare ed imporre prevenzione; per rompere quel ricatto sulla salute che da soggettiva diventa il bene collettivo da inventare; per riprendersi spazi fisici e mentali nel concretizzare salute e ri-significare gli agiti. Indispensabile è rifiutare di diventare un insieme di sigle che, dopo qualche convegno, documento o raccolta firme esaurisce le sue energie ed il suo essere, oppure che continua a presentarsi come un’elitè, con le idee sicuramente chiare, ma lontana dai limiti e dalle difficoltà di chi è già nella morsa del ricatto di cura, per rimettere profondamente in discussione l’attuale e perversa logica sanitaria, pretendendo una trasformazione di sostanza dei finanziamenti pubblici, partendo principalmente dalla prevenzione e dai territori, perchè la salute ha bisogno di concretezza e di una reale partecipazione individuale e gruppale per trasformare la dipendenza dal potere in un potere di cambiamento complessivo di vita.

 

 

Graziella Bastelli caposala coordinatrice Neuro Psichiatra Infantile Azienda Policlinico Umberto I° Roma.

Rappresentante COBAS Sanità università Ricerca RSU aziendale.

Presidentessa dell’associazione di volontariato “Il Grande Cocomero”

 

15/4/07

 

 

Bibliografia:

D.W.Winnicott “Scritto di pediatria e psicanalisi” 1958

Sonia Abadi “Il modello terapeutico di Winnicott” 1966

Simonetta Bruni,Stefania Marinelli, Lilia Baglioni “Sogno, corpo e malattia nel gruppo”2003

F.Vasta, O.Caputo “Gruppo con pazienti anoressiche, fattori terapeutici”2001

Nicoletta Stame, Francesco Pisarri “Proletari e Salute” 1976

“La salute non è una merce: costituzione delle reti per la difesa del diritto alla salute” Confederazione COBAS Forum europei (Firenze, Parigi, Londra, Atene, Barcellona) 2002-2006; Forum mondiali (Porto Allegre, Mumbai) 2001-2005

“Devoluzione dei poteri alle regioni o devastazione e saccheggio del SSN” documento Cobas sanità Università e Ricerca 2002

“La riforma sanitaria: la salute diventa diritto?” documento del collettivo lavoratori e studenti del Policlinico Umberto I° 1979

“Dal diritto-bisogno di salute alle aziende sanitarie del profitto”, “I diritti alla salute delle donne”, “I diritti e le aspettative del mondo bambino” documenti Cobas Sanità Università e Ricerca Policlinico Umberto I° Roma 2004-2007

Info su: www.azimut-onlus.org

 

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