Home ›› POLICLINICO ›› NORMALE FOLLIA ›› SEMINARIO CUBA relazione

SEMINARIO CUBA relazione

SEMINARIO CUBA - “Per una sanità di vita”

Graziella Bastelli, infermiera coordinatrice del reparto II degenza del Dipartimento di Scienze, Neurologiche, Psichiatriche e Riabilitative dell’Età Evolutiva. Azienda Policlinico Umberto I° Roma - Italia.

Io non sono un’antropologa ma ho basato e sto basando il mio approccio alla sanità mentale attraverso una costante verifica con la pratica quotidiana nella mia esperienza lavorativa, come caposala , in un reparto ospedaliero per adolescenti con gravi patologie psichiatriche.

Nel corso degli anni ho verificato su come i nostri utenti e la loro richiesta di aiuto e cure subissero continue variazioni, sia rispetto all’età di chi si rivolgeva a noi con evidenti segni di sofferenza e disagio psichico, che andava a diminuire (dai 13 agli 11 anni), sia rispetto alla provenienza che, nella identificazione di una società sempre più multietnica, si arricchiva di diversità ideologiche, religiose, esperienziali con l’invio di ragazzi e ragazze Africane, orientali e del Sud Est Europeo.

Confrontarsi con diverse culture, saper condividere bisogni e desideri che rispondono molto spesso a dinamiche completamente estranei sia a chi richiede cure che a chi le deve saper offrire, significa essere disponibile a mettersi in gioco con fantasia e curiosità, significa non sentirsi superiori o portatori della “verità”, significa non considerare la propria cultura come più evoluta od avanzata (limite molto diffuso fra noi occidentali), in poche parole, significa mettere a disposizione il proprio sapere e le proprie conoscenze per arricchirsi di altre e saper mettere in pratica un confronto che diventa profondamente trasformativo per ambedue.

Per far ciò bisogna però anche saper essere umili, ammettendo, nonostante tutte le sicurezze raggiunte ed ostentate dalla medicina allopatica, di quanti buchi oscuri ci siano nel tentativo di fare prevenzione, cura e riabilitazione nella salute in generale ed in quella mentale nello specifico.

La propria appartenenza culturale, insieme ad una lingua che sviluppa un sentimento di identità, permette all’apparato psichico di ciascun individuo di affrontare la propria evoluzione con equilibrio ed armonia fra percezioni, sensazioni e pensieri. Attraverso il rafforzamento del sé è possibile costruire il proprio mondo e confrontarsi in uno spazio sociale da condividere con altri senza paura di essere disintegrato e di disintegrarsi.

Se non si riesce a comprendere le differenze culturali, se non si accettano lingue “incomprensibili”, se non si è sensibili nei confronti della natura di una persona, della sua storia, delle sue tradizioni e della sua memoria, si distrugge ogni possibilità di dialogo fra pari, ci si trasforma in sordi, si rischia di annientare un’identità che, nel caso specifico di un bambino e di un giovane, è estremamente fragile, più attaccabile e facilmente frantumabile. Spesso questa insensibilità e mancanza di rispetto produce l’antitesi alle cure richieste ed oltre a non offrire salute si aggiunge disagio e sofferenza ad una profonda solitudine, costringendo l’individuo “diverso” a perdere i pochi punti di riferimento che davano senso al proprio sé ed alla propria storia.

Scrive Roberto Benedice nel suo bel libro “Frontiere dell’identità e della memoria” …”l’adattamento ed il mutamento di cui si parla non concernono unicamente gli “stranieri”, gli immigrati o la loro psicopatologia, dal momento che guardare soltanto ad essi lascerebbe nuovamente emergere un modello essenzialista della cultura, , della sofferenza e della società, una rappresentazione statica della differenza culturale che si rivela nei fatti destituita di ogni fondamenta …bisogna comprendere e problematizzare i mutamenti ed i processi di mutua transculturazione che si determinano tanto nelle società ospiti quanto negli immigrati e nelle culture o nei gruppi dai quali essi provengono, cogliendo queste dinamiche nella loro costruttiva reciprocità”.

Pienamente convinta che tali concetti siano una base di partenza per affrontare i cambiamenti che lentamente da una decina di anni si sono presentati con sempre più incidenza e frequenza nella mia esperienza lavorativa, voglio raccontarvi, cercando di confrontare prassi e teoria, quello che ho dovuto imparare per rispondere con empatia e professionalità alle richieste di ascolto e di aiuto che un numero sempre maggiori di individui sta rivolgendo alle strutture sanitarie pubbliche e ad una società che sta paurosamente involvendo invece di crescere. La sua sordità, insensibilità ed individualismo non sono un giudizio negativo di chi non vuole accettarne i cambiamenti , ma sono un triste e costante lamento che ormai pervade ogni emozione , ogni azioni, ogni sentimento, obbligandoci a sentirci sempre più soli in un immenso oceano di persone che comunicano con la loro solitudine ed hanno paura della ricchezza delle loro diversità.

Quando parlo di “diversità” comprendo non solo l’apporto di diverse culture e tradizioni, ma anche le ricchezze che un paziente psichiatrico esprime nel suo essere diversamente creativo, il suo bisogno di essere com-preso ed aiutato nel decodificare nuove lingue e parole che si esprimono con sguardi, espressioni artistiche, silenzi, ma che non possono e non devono, nel rispetto della sua ricerca di sanità mentale, essere accantonate e rifiutate perché non rientrano nella nostra “normalità”, negli strumenti che capiamo, conosciamo e siamo abituati ad utilizzare.

Troppo spesso si etichetta come “matto” colui che non comprendiamo e non si considerano richieste di aiuto i suoi deliri, le sue bizzarrie e le sue fobie; e troppo spesso, proprio chi si definisce “sano”, dovrebbe essere curato da un punto di vista umano per il suo distacco dal mondo delle emozioni, per il suo rinchiudersi nella razionalità e nel conosciuto, per la sua incapacità di misurarsi con la fantasia e la creatività. Ma se ciò fosse possibile…saremmo in un altro mondo!

Facciamo i conti con il nostro mondo e proviamo insieme a trovare gli strumenti necessari per iniziare questo percorso di risalita e di umanizzazione della cura e della vita.

La prima scheda che vi presento comprende una serie di dati relativi alle offerte sanitarie in Europa, in Italia e con riferimenti specifici al Lazio, specialmente sulla neuropsichiatria infantile, per far emergere, nonostante le varie promesse e diritti enunciati nei diversi Sistemi sanitari, tutte le preoccupanti carenze ed involuzioni del diritto alla salute.

I° SCHEDA

Dai dati che vi riporto si deduce chiaramente che:

prima di tutto bisogna partire da una battaglia ideologica che ridia la giusta collocazione e dignità alla diversità…non solo etniche naturalmente…che convivono nelle nostre piccole e grosse realtà.

Contemporaneamente bisogna ribadire e riscoprire una concreta solidarietà che sappia condividere le attuali difficoltà dovute molto spesso non dalle mancate ricchezze, ma dall’utilizzo-abuso improprio della globalizzazione e del profitto.

Infine bisogna lottare contro la mercificazione della salute e la trasformazione del diritto di prevenzione e di cura in una fonte di profitto e di appropriazione indebita dei privati, visto che tutti i governi e gli stati devono garantire, o essere messi in grado di farlo, la possibilità ad ogni cittadino del mondo di raggiungere uno stato di benessere sia fisico che psichico.

Non sogniamo un mondo impossibile dove tutto sia “rose e fiori” ma partiamo dall’individuo per garantirne lo sviluppo e non la sopravvivenza, per affrontarne i limiti e le contraddizioni senza

imporre schemi preconfezionati ed asettici, che non sono in grado di rispettare l’individualità perché mirano a potenziare l’individualismo a tutto danno di una logica di insieme e di collettività.

La seconda scheda è una esperienza di cura, da me direttamente vissuta all’interno del reparto di Neuropsichiatria, dove lavoro ormai da trenta anni, e che è stata una delle poche concrete possibilità di integrazione di diverse culture, nonostante il bisogno sempre più emergente, come denunciavo prima, di arrivare a rendere quotidiano queste condivisioni e questi scambi.

Prima di presentarvela e di parlarne vorrei sottolineare come una decina di anni fa, le richieste di cura da parte di stranieri fossero delle eccezioni che rimanevano, forse anche per la loro eccezionalità, impresse nelle nostre menti e nei nostri cuori e come nel corso degli anni queste si siano imposte con una frequenza sempre maggiore, fino a rappresentare nello scorso anno il 10% dei ricoveri sia in regime ordinario che diurno.

Inoltre l’esperienze acquisite e le richieste dei nostri giovani utenti e delle loro famiglie hanno determinato anche dei grossi cambiamenti nelle nostre risposte assistenziali che hanno puntato l’obiettivo di utilizzare molti più strumenti espressivo-creativi in un’ottica terapeuticamente riabilitativa. Questo ha significato una costante ricerca nell’ampliamento degli strumenti utilizzati nella cura e nella prevenzione delle patologie psichiatriche, permettendo alla psicoterapia ed alla farmacologia di trovare validi alleati in altri canali espressivi, come il teatro, la pittura ed il disegno, il ballo, la musica, il cineforum, la fotografia, ecc..

Sulla nostra esperienza vi mostrerò, dopo la presentazione del caso di Olivia, un breve video che utilizzando principalmente le immagini di un murales realizzato sui muri del nostro reparto e di uno spazio di un’associazione di volontariato del nostro quartiere, dove svolgiamo le nostre attività riabilitative all’insegna della fantasia e della creatività, vi potrà avvicinare alla costante trasformazione che un luogo di cura delle patologie psichiatriche deve inevitabilmente affrontare per riattivare, in punta di piedi ma con una profonda e pensata professionalità, quel contatto con la realtà frantumatosi insieme ai fragili sé dei nostri giovani utenti.

II° SCHEDA

La Storia di Olivia ci affascina, oltre che per la sua diversità, per la profondità del ruolo che in queste “sperdute” tribù viene dato al bambino, alla sua crescita, al suo rapporto con il mondo familiare e societario e come ogni periodo di crescita venga materialmente identificato con un “passaggio”, un “rituale” una “prova” che permette al bambino che diventa adolescente, ed all’adolescente che diventa adulto, di celebrare il lutto di ciò che abbandona per incuriosirsi e conquistare le novità che lo aspettano affrontando anche delle difficoltà che rafforzano il proprio sé. L’adulto rimane nello sfondo, non lo abbandona, ma permette la sua sperimentazione, la sua crescita, accettando le trasformazioni individuali ed i cambiamenti che queste porteranno nella loro società.

Nelle nostre società occidentali si è perso completamente queste capacità celebrative di passaggio, le varie età si confondono fra i contraddittori messaggi mass medianici, unicamente finalizzati al profitto ed alla vendita delle merci, ed il ruolo genitoriale diventa sempre più indeterminato.

La sfida che ogni generazione deve indirizzare, come strumento di crescita, alla generazione che la precede, si perde totalmente nel vuoto, aumentando disagi, depressione, individualismo, fino all’aumento di gravi patologie psichiatriche (disturbi del comportamento, dell’umore, dell’alimentazione, auto ed eteroaggressività, psicosi, ecc.).

I disagi provocati dallo sviluppo disumano della nostra società si assommano al tentativo arrogante di schiacciare e ad annullare tutte le altre civiltà che essendo molto più empatiche nei confronti degli individui, rappresentano un rischio per il capitalismo ed il profitto.

Ma ogni cultura è immortale e viene tramandata con semplici o complessi strumenti ed ogni individuo, attraverso la “memoria episodica”, costruisce il proprio sé autobiografico e può permettersi un viaggio nel tempo, coniugando il proprio passato con quello dei suoi avi, della sua gente, della sua nazione, e trasportandolo in un presente vissuto da lui e da altri, per proiettarsi in un futuro fatto di sogni ed aspettative individuali e collettivi. Se si permette a qualcuno di annientare la propria storia, non c’è più appartenenza e la memoria non ha energia per trasformarsi in ricchezze e per autorizzare quel confronto-sfida intergenerazionale inevitabile per ogni cambiamento sia psichico che sociale.

Quando si parla di società multi etniche, quando si nomina l’etnopsichiatria, quando ci si riferisce ai cittadini del mondo, bisognerebbe con molta oggettività ed onestà considerare tutte le difficoltà che alcune culture hanno nel confrontarsi con quelle che si considerano depositarie di una “civiltà tecnologicamente avanzata”e che per i loro atavici abusi e prepotenze, ancora oggi perpetuati, tendono a sottomettere, sotto le loro bandiere di false democrazie, intere popolazioni, società e memorie.

Forse partendo chiaramente da questo nostro immenso limite potremmo dare un contributo positivo alla storia del mondo.

Bibliografia:

“Per una sanità senza profitto”Confederazione di base (COBAS) Sanità Italia e Rete Europea per la salute.

Roberto Benedice “Frontiere dell’identità e della memoria”

Tobie Nathan “Costretto ad essere umano”

Emergenza Psichiatrica in adolescenza –Gruppo di Lavoro Regione Lazio

Fonte OECD Health 2002 e Piano Sanitario Italiano 2001-2004

Info su: www.azimut-onlus.org

 

Dai un contributo ai progetti internazionali dei Cobas

Associazione Azimut

Codice Fiscale 97342300585