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Una zucca cocomerizia maggio 2004

“UNA ZUCCA COCOMERIZIA COME SPAZIO… LA CREATIVITA’ COME CORNICE”

nelle linee guida delle attività extracliniche terapeutiche e riabilitative della II° DIVISIONE del D.S.N.P.R.E.E.

Da anni e dopo tanti momenti formativi, di confronto e di cambiamenti nella nostra divisione le “attività occupazionali e ricreative” hanno acquisito uno spessore ed un significato terapeutico entrando “con tutte le scarpe” nelle linee guida individualizzate dei nostri giovani pazienti e diventando parte portante delle attività extracliniche. Non più e soltanto lo scandire del tempo di un ricovero, fosse esso ordinario o diurno, il riempire i tempi morti, il tenere occupati i ragazzi in qualche modo, il rispondere alla paura degli operatori nell’affrontare la noia e la distruttività, ma un costruire prima di tutto nelle nostre menti e nei nostri cuori uno spazio ben articolato, definito e ricco di significati nel quale ciascun ragazzo poteva sperimentare la creatività e la fantasia come elemento prima di cura e successivamente di riabilitazione e di ri/scoperta del proprio sé frantumato o totalmente distrutto.

Noi operatori come “io ausiliari”; come “assistenti” tessitori di chi, rimettendo insieme arruffati fili, sta creando variegate e colorate stoffe; come morbidi materassi sui quali lasciarsi andare per molleggiare, anche ad occhi chiusi; come flessibili specchi che si offrono quando si possono “sbirciare” le proprie immagini, proiettare le proprie emozioni ed incanalare l’aggressività facendola agire nel creativo, noi per soggettivare l’avvenuta frammentazione, per condividere le paure e le sofferenze, e permettere, attraverso questo lento e costante rapporto con un mondo adulto capace di contenere, l’inizio della ripresa dei rapporti con questa realtà negata, rifiutata, sfocata, nemica.

Aver prima sperimentato come operatori laboratori ed atelier di pittura, corsi di danza movimento terapia , di espressione corporea, di teatro, di comico terapia, di autodifesa, e negli ECM di Marzo, di autobiografia, ci ha permesso di misurarci con il nostro essere individui integrati, di lavorare con il corpo e le emozioni, di scoprire nella pratica l’empatia ed il contatto non invasivo, di raccontarci per imparare a raccogliere i frammenti di vita che ci venivano “buttati verso”, e ci ha insegnato a metterci in gioco in prima persona per poi offrirci come operatori della salute mentale di adolescenti che, come i nostri ragazzi, sono venuti a contatto con le patologie psichiatriche ed i disagi psico-sociali sia propri che dei loro oggetti d’amore.

Con la sola esclusione dei ragazzi appena entrati in reparto in una fase acuta della loro patologia, e con l’apertura a tutti i ragazzi del diurno post-ricovero, le attività riabilitative sono, nei nostri progetti terapeutici, uno strumento di particolare efficacia che, oltre a darci nuovi strumenti di conoscenza dei singoli e permettere l’espressione della propria frammentazione attraverso canali non verbali, offre l’utilizzo dello stesso gruppo di adolescenti, con la presenza/contenimento di più operatori che condividono e direzionano gli strumenti creativi, per un confronto fra pari.

La stanza della scuola/attività creative si è piano piano riempita di proposte, di idee, di materiale creativo e dei meravigliosi e significativi lavori dei ragazzi, diventando sempre più stretta specialmente se vissuta per le interminabili quotidiane 24 ore dei ricoveri. Avevamo bisogno di uno spazio disponibile ad essere cangiante, contenente, protettivo, ma che, nello stesso tempo, ci permettesse di avventurarci dal “reparto utero” al mondo esterno con una modalità ovattata, dove i nostri piccoli passi potessero essere fatti anche in punta di piedi, senza far paura e richiedere immediatamente verifiche e significazioni, e dove si potevano trovare altre persone, non adolescenti e neanche operatori, che potessero essere “artisti” con noi e per noi.

L’associazione il “Grande Cocomero” si è resa subito disponibile offrendoci uno spazio molto grande a soli 200 metri dalla clinica, ricco di stanze per i più svariati laboratori: da quello del colorecon enormi pannelli di compensato attaccati alle pareti e polveri di tutte le tonalità per eseguire le nostre pitture; a quello dell’espressione corporea e visiva con morbidi cuscini, radio, schermo e proiettore come unici arredi; della musica con chitarre, batterie, pianole, bonghi ed altri strumenti; alla libreria con i più svariati libri e collezioni di giornaletti da sfogliare e leggere in solitudine; alla stanza per la creta, la cartapesta e gli origami da plasmare, trasformare, inventare; alla stanza dei computer dove poter scrivere canzoni , poesie e racconti in libertà ed andare su internet in compagnia di un operatore; all’entrata dove è stato messo il biliardino, il flipper ed altri giochi da tavolo da scoprire; ai grandi muri esterni dove si potevano fare graffiti e pitture gruppali. Inoltre anche se ci ritagliavamo uno spazio solo nostro, il mercoledì pomeriggio, c’erano sempre i volontari, quelli selezionati per partecipare al nostro laboratorio protetto, che non conoscevano i ragazzi e le loro storie e rappresentavano un piccolo spaccato di realtà con la quale liberamente si potevano rapportare, sempre con la presenza rassicurante degli operatori del reparto.

Dal lontano ’98, grazie anche alla presenza di alcuni operatori del reparto all’interno del processo associativo del Grande Cocomero, abbiamo iniziato ad inventarci un modo tutto nostro per utilizzare questi spazi e la loro disponibilità umana, giocando con la bizzarria di questo Grande Cocomero rappresentato come un enorme zucca e con quell’alone di magia e di disordine creativo che si percepisce appena si varca l’entrata. Abbiamo articolato specifici laboratori oltre a quelli già strutturati, utilizzando volontari esperti di alcune arti: un corso di tango e rock and roll e successivamente uno di danza africana, intervenendo terapueticamente sulle difficoltà motorie di alcuni ragazzi che frequentavano il diurno; per un intero inverno un’ora del nostro laboratorio è stato dedicato allo shatsu e tutto il gruppo ne ha tratto un enorme beneficio specialmente nei giochi di movimento e di fiducia; durante un’ estate abbiamo organizzato un laboratorio fotografico per le vie di San Lorenzo ed siamo riusciti a produrre un corto scritto e recitato dai ragazzi che abbiamo proiettato in più occasioni; abbiamo dipinto le nostre immagini su un muro esterno e chiesto ad esperti-volontari alcune lezioni per lavorare la creta, imparare a suonare alcuni strumenti musicali, sul canto e sulla tecnica dei graffiti ; abbiamo scritto storie e fatto maschere e costumi di stoffa e carta in tutti i carnevali per le sfilate nel quartiere e lavorato con terra e semi per far crescere fiori ed odori nelle aiuole antistanti l’associazione. Specialmente durante il primo anno dei laboratori abbiamo lavorato con pittura e decupage per abbellire spazio e mobilio e poterci rispecchiare in essi ma le stesse mura, secondo i nuovi ragazzi che le animano, continuano a trasformarsi sotto i nostri occhi e fra le nostre mani.

Spesso sono i ragazzi che ci danno le idee per nuovi laboratori riuscendo a comunicarci i loro desideri ed i canali più individualmente espressivi che sono stimolati ed incuriositi a percorrere, noi, come operatori e come volontari, siamo gli strumenti disponibili a metterci a loro disposizione per essere creativamente riabilitativi e divertirsi insieme in questo ridefinito processo di crescita.

Questa collaborazione fra il Grande Cocomero e la II divisione del nostro dipartimento ha portato ad un arricchimento sia per noi operatori che per i volontari. Infatti molti operatori hanno partecipato ad iniziative musicali per sottoscrivere le attività del Cocomero ed a corsi e seminari sulla creatività, utilizzando anche in altre occasioni, oltre al mercoledì, questi colorati ed accoglienti spazi. I volontari a loro volta hanno partecipato a molti pranzi/cene natalizie del reparto, a corsi di cucina ed all’esecuzione del murales di reparto “la Cornacchia Penelope” nel nostro progetto “Coloriamo l’ospedale”. Dallo scorso anno, inoltre, sono stati organizzati nel Cocomero alcuni laboratori creativi per gli allievi del III anno di laurea breve per terapisti della riabilitazione e da quest’anno, due progetti finanziateci dal Comune di Roma (assessorato alle politiche dell’infanzia e delle famiglie), per un laboratorio teatrale per i nostri ragazzi del diurno post-ricovero ed uno di “Cenaforum” ( film sull’adolescenza, le aspettative genitoriali e le dinamiche di coppia accompagnati da dibattito e cena fredda) per i loro genitori, sono stati organizzati negli spazi dell’associazione e con la collaborazione dei volontari.

Molti ragazzi che hanno partecipato ai nostri laboratori protetti al Cocomero, dopo anni e di loro iniziativa ci hanno chiesto di partecipare ad altri laboratori, specialmente quelli musicali, che nell’associazione si sono andati strutturando anche per i ragazzi del quartiere, ed alcuni , ormai maggiorenni, sono diventati soci dell’associazione, per potersi permettere una restituzione alla “zucca cocomerizia” che li aveva saputi accogliere senza chiedergli ed imporgli niente, per acquisire un ruolo più adeguato al loro percorso di guarigione, e per sentirsi ancora vicini e coccolati dal reparto e da tutti noi operatori, senza la richiesta di un diretto percorso terapeutico che seguivano nel proprio territorio od avevano terminato.

E’, infatti, dovuto all’esperienza cocomerizia dedicare qualche riga alla nascita ed alla storia di questa associazione che non a caso si è resa disponibile a sperimentare e costruire con noi un percorso riabilitativo per adolescenti con patologie psichiatriche.

C’era in comune fra noi la grande esperienza umana e professionale di Marco Lombardo Radice, pioniere della psichiatria adolescenziale e primario, con Giovanni Bollea del II degenza nella sua trasformazione da reparto neurologico a reparto psichiatrico per le patologie adolescenziali.

Marco muore prematuramente di infarto nell’89, ma, per nostra fortuna, fa in tempo a scrivere tanti lavori e dispense sulle sue scoperte, su come rivolgersi agli adolescenti, sul suo impegno di neuropsichiatria infantile, sulle attività terapeutiche e riabilitative. Nel ’92, una regista, Francesca Archibugi, legge su Linea d’Ombra, un suo scritto che diventerà la trama del film “Il Grande Cocomero”. Il film viene interamente girato nei locali di una scuola in disuso a Via dei Sabelli 88 e come attori vengono coinvolti alcuni ragazzi curati da Marco, anni prima, nel reparto della Neuro Infantile. Dopo un anno si costituisce “Il Grande Cocomero, associazione di volontariato fra cinema e psichiatria” che inizierà le trattative con il comune di Roma per avere assegnati quelli spazi.

A questo punto interveniamo noi con la possibilità di rendere concreta e realizzabile l’utopia di saper accettare la sfida che il mondo bambino/adolescente rivolge costantemente al mondo adulto.

Noi adulti capaci di non abdicare il nostro ruolo, di dare confini, amore e stimoli, di rafforzare l’autostima senza abbandonarli o soffocarli durante tutto il lungo e faticoso processo di crescita, di non imporre aspettative e proiezioni, di contenere disagi e di diventare strumenti curativi se il danno della frantumazione di questi fragili sé è già avvenuto, offrendogli la scoperta della fantasia e della creatività come strumenti quotidiani e la fiducia in sé e negli altri come condimento della vita.

Scrive Marco nell’articolo pubblicato su Linea d’Ombra, subito dopo la sua morte :

“Sai quella canzone che fa “Se scendi tra i campi di segale, e ti prende al volo qualcuno”..? Mi immagino sempre tutti questi ragazzini che fanno una partita in quell’immenso campo di segale, eccetera, eccetera…migliaia di ragazzini, e intorno non c’è nessun altro, nessun grande, voglio dire, soltanto io. Ed io sto in piedi sull’orlo di un dirupo pazzesco e non devo fare altro che prendere al volo tutti quelli che stanno per cadere dal dirupo, voglio dire, se corrono senza guardare dove vanno, io devo saltare fuori da qualche posto ed acchiapparli. Non dovrei fare altro tutto il giorno. Sarei soltanto l’acchiappatore nella segale…..

Noi dentro il reparto e dentro il Grande Cocomero abbiamo continuato la sua sfida terapeutica ed umana, attrezzandoci ad essere in tanti a “raccogliere” chi casca, a “rimettere in piedi” chi inciampa, a “rispettare” chi si sta cercando, ad “offrire un orecchio, un sorriso, uno strumento” a chi rincomincia a fidarsi del mondo adulto e riprende ad amarsi riuscendo a chiederci aiuto quando ne ha voglia e bisogno!

E.C.M. Maggio 2004

Graziella Bastelli

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