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DONNE, LAVORO... E... MOLTO ALTRO

Possiamo e dobbiamo partire da numeri e statistiche per parlare delle donne nel mondo del lavoro, ma dobbiamo fare molto di più per riuscire ad essere un elemento di trasformazione e concreto cambiamento nella dinamica dei rapporti uomo/donna nella società attuale.

Il rappresentarci vittime riempie tutti i mezzi di informazione riducendo sempre ed unicamente noi donne come i soggetti da “rispettare, da difendere, da aiutare” mentre si continua ad esercitare unicamente rapporti di possesso, di violenza e di potere in una società patriarcale, maschilista, razzista e xenofoba che, non solo annienta chi inserisce nella categoria "fragile", ma permette ed usa tutti gli altri, come soggetti attivi/passivi in questa pratica fatta di centinaia forme di violenza, per mantenere inalterato l’annientamento di libertà, diritti e autodeterminazione.

Non solo vorrei parlarvi delle discriminazioni sul lavoro: dai salari, alle carriere, alla precarizzazione, all'erosione e negazione della scelta di maternità, per aggiungere i femminicidi, le molestie e i ricatti sessuali; l'utilizzo del femminile nella distruzione del welfar (la spesa sociale per le famiglie è l’1,03 del PIL al disotto della media europea di 2 punti, il 52%dei bambini con meno di 2 anni vengono accuditi dai nonni e solo il 30% al nord e il 12% al sud trovano posto ai nidi, i problemi aumentano con l’età dei figli e dei propri genitori. Infatti il 28% delle donne ha interrotto il lavoro per problemi familiari visto che è la donna a occuparsene al 70% e che il sovraccarico di lavoro per le donne arriva, per le madri, a un 61% con anche 60 ore settimanali di lavoro. Inoltre solo il 12% dei padri ha preso i congedi parentali facoltativo nel 2014, visto il pagamento del solo 30% del salario); l'uso perverso del corpo delle donne nell'informazione e nella nostra cultura; l'incidenza della nocività nei lavori che richiedono principalmente la nostra presenza e per identificarci come coloro che possono, rifiutando il ruolo di soggetto riproduttivo e produttivo, arrivare a rappresentarci come chi può convogliare tutt@ in una lotta "dei generi dai generi". Dobbiamo collettivamente scardinare questo modello societario familistico/maschilista ed ogni differenza che si basi sull’appartenenza ad un sesso, ormai non solo femminile e maschile, che si serve della dipendenza, violenza, sottomissione e le trasforma ipocritamente in difesa e parità, volendo convincerci che i problemi strutturali siano emergenziali e proponendo soluzioni ridicole, offensive, strumentali, come garanzia di mantenimento/peggioramento dello stato quo.

Partiamo dagli ultimo dati diffusi dall'Istat (settembre 2017) "Il dato dell'occupazione femminile è da record...essendo cresciuta di 1,6 punti percentuali rispetto al 2008".

Ma nonostante ciò la situazione occupazionale delle donne è tra le peggiori in Europa, essendo l'Italia la penultima tra i paesi UE 28, con un divario di 13,2 punti rispetto alla media e seguita solo dalla Grecia. Il gap di genere è sicuramente diminuito dal 1977 ad oggi (da 41,1 punti a 18) ma NON certo perché è aumentata l'occupazione femminile MA perché è diminuita l'occupazione maschile (3,6 punti in meno). Inoltre aumentano le donne ultracinquantenni fra le occupate grazie a Fornero e i problemi di sempre restano sul fronte occupazionale per "le donne, il Sud e i giovani". E per una giovane donna del sud questi 3 problemi si sommano!

Infatti il tasso di occupazione complessivo per le donne è il 49,1%; siamo al 12% rispetto al tasso di disoccupazione; quello di mancata partecipazione al mercato del lavoro è al 26%.

Aumenta il part time al 32,5% per le donne (sia richiesto che imposto, ben il 60%) con una differenza salariale di ben 11 mila euro fra i due generi. Questo comporta inevitabilmente anche un gender pensionistico al 40% che supera quello salariale. Infatti da una media pensionistica per gli uomini di 1.600 euro si scende a un valore medio di poco più di 600 euro (il 63% delle pensioni di vecchiaia). Le donne sono quindi più a rischio di povertà in vecchiaia e l'indicatore di povertà assoluta è del 7,3 (2 milioni e 300 nel 2016) per le donne, specialmente quelle con figli minori e/o capofamiglia, sono numerosissime, arrivando a un 26% al nord e al 65% al sud. Sui voucher nel 2016 si è evidenziato un uso/abuso al 51,5% per le donne giovani.

LA DISCRIMINAZIONE SALARIALE (gender pay gap): Il lavoro svolto dalle donne è valutato meno di quello svolto dagli uomini. Spesso però vengono considerati dei dati “grezzi” perché non tengono conto di tutte le differenze fra uomini e donne (dall’età, anzianità, istruzione, dimensioni imprese dove si è occupate, le ore lavorate, e anche che il 52% fra i 15/62 anni, essendo disoccupate, percepisce un salario pari a zero!). Questi dati grezzi ci dicono in tutti i casi che le donne percepiscono retribuzioni orarie inferiori del 4.9% rispetto agli uomini.

Dai dati recepiti con questi limiti la differenza salariale nel settore privato arriva al 15,7% e nel pubblico al 5,4%. Una donna a parità di lavoro e mansione percepisce un salario inferiore del 10,9% e continua ad aumentare il divario col crescere della gerarchia professionale, nonostante che ci siano leggi che lo vietino (903/77, 125/91, 151/2015), arrivando a ben 4 mila euro di differenza. In Europa l'Italia è al cinquantesimo posto su 144 paesi e il reddito complessivo da lavoro delle donne italiane è il 49% di quello degli uomini. Inoltre le donne non riescono quasi mai a svolgere il lavoro per il quale hanno studiato e si sono specializzate. Il lavoro delle donne, sia nel privato che nel pubblico, si concentra nei servizi alla famiglia e agli individui, nella scuola e nei servizi dell'infanzia, nella cura dalle aziende sanitarie ai territori, nel commercio e nel turismo. Nel privato (ditte e cooperative) spesso il contratto a tempo indeterminato viene accompagnato da una lettera di dimissione "volontaria" se si dovesse essere in cinta; questa dimissione forzata viene conservata dal datore di lavoro e gli garantisce di non pagare quanto previsto per le assenze obbligatorie o di salute nella gravidanza e successiva maternità!!

Rispetto alle MOLESTIE e RICATTI SESSUALI abbiamo direttive CE (2002/73), l'art. 2087 del codice civile e del codice delle pari opportunità sulle discriminazioni (198/06) che parlano di diritti e risarcimenti...ma la realtà è aberrante: dai dati Istat, risalenti a un decennio fa, la metà delle donne fra i 16/65 anni, ovvero più di 10 milioni pari al 52%, avevano subito nella loro vita lavorativa ricatti o molestie verbali e fisiche. Solo nei tre anno, dal 2006 al 2009, erano quasi 4 milioni con un 31% di molestie e un 69% di ricatti e richieste di prestazioni sessuali. Le più coinvolte sono le ragazze dai 14/24 anni e successivamente le laureate e diplomate dai 25/34 anni specialmente al Sud. Inoltre tutti i tipi di ricatti sessuali si ripetono per il 44% quasi quotidianamente o più di una volta a settimana.

Visto che non ci sono nuove statistiche (non gli interessa farle!) ma che il mondo del lavoro ha subito e sta subendo maggiore precarietà, flessibilità e ricattabilità; che i piani nazionali e regionali antiviolenza ignorano il problema, non facendone menzione e non stanziando fondi pubblici per contrastare le molestie; che raramente tali agiti vengono denunciati rimanendo di fatto una violenza "sommersa" (l'82% non lo denuncia), il fenomeno è aumentato sicuramente. Adesso dobbiamo aggiungere anche i tirocini lavorativi e tutte le vergognose introduzioni dei giovanissimi nell'esperienza formativa con la "buona scuola".

Nel 2016 cgil, cisl, uil e confindustria fanno un accordo quadro sulle molestie e violenze nei luoghi di lavoro come atto di recepimento di accordi delle parti sociali europee del 2006 (dieci anni dopo!), ma è un atto puramente burocratico che non crea e propone nessuna campagna di contrasto a quanto si continua a subire come donne nel mondo del lavoro.

Non solo violenza individuale per chi, di solito con un ruolo di potere, la esercita ma anche una condizione di vergogna e di attacco alla propria dignità/professionalità per chi la subisce, legittimando di fatto un clima di sopraffazione e spesso di minimizzazione di questi agiti da parte di tutti i colleghi che sono certi che la colpa principale è della donna che "provoca, ingigantisce, ci starebbe"!

SULL'INFORMAZIONE prendiamo l'esempio di uno studio effettuati fra i conduttori/truci RAI che evidenzia l'utilizzo del femminile per le trasmissioni di intrattenimento, nello sport, nel cinema e nelle fiction, ma gli uomini rivestono ruoli più prestigiosi e si considerano dotati di qualità intellettuali maggiori. Naturalmente l'aspetto fisico è importante per le donne ed elevato é l'utilizzo del corpo femminile in una logica di bellezza e sensualità che riproducono i canoni estetici dominanti (belle, bionde, magre ma bone!). Su 335 testate giornalistiche solo 73 sono dirette da donne, i più importanti giornali sono tutti diretti da uomini, nelle TV pubblica solo il tg1 è diretto da una donna e 2 in quelle private e i capo redattori sono il triplo delle donne. Ma è evidente come l'impostazione dell'informazione complessiva rispecchi una impostazione maschilistica, stereotipata (madonna o puttana) e pietistica e che anche qui ci sia una differenza salariale che supera i 3 mila euro. Oltre alla donna anche il ruolo dell'infanzia viene utilizzato per mantenere questi livelli di informazione e bambine vengono utilizzata per reclame e spot nei quali la discriminazione sessuale e i corpi vengono abusati attraverso le immagini e i contenuti. Quanto anche l'informazione oltre naturalmente alla scuola, dall'asilo all'università, siano coinvolte nell'educare alle differenze ed alle diversità non viene considerato un elemento indispensabile nei livelli formativi e nelle finalità sociali di queste istituzioni, tanto meno nei programmi scolastici.

Quanto sarebbe indispensabile la formazione di insegnanti ed educatrici/ori, iniziando a lavorare/educare alle relazioni di genere, alla vita sentimentale/affettiva, alla sessualità, con una revisione dei curriculum e con nuovi programmi che diano spazio e valore alla esperienza storica e culturale delle donne (anche rispetto ai centri antiviolenza) e che contrastino il sessismo presente nella lingua italiana, con la revisione dei libri di testo.

Mi preme sottolineare che nell’informazione come in qualsiasi altro capo di vita e di lavoro spesso “l’essere donna” non risolve i problemi, diventando le donne stesse una “brutta copia degli uomini” (pensiamo al mondo della politica e ai ruoli dirigenziali, alle quote rosa, e alle altre aberranti condizioni di “apertura” senza aver trasformato la logica maschilista e sessista di questa società e identificandosi, al femminile, unicamente in ruoli di potere funzionali al sistema capitalista).

Rispetto alla SALUTE, visto la privatizzazione dilagante e la caduta costante dell'offerta sanitaria pubblica che non garantisce prevenzione e ora neanche cura, rispondendo unicamente all’emergenza, le donne che sono più longevi (differenza di 3 anni fra nord e sud), sono più svantaggiate in termini di qualità di sopravvivenza e circa un terzo della loro vita è vissuto in condizioni di salute non buona, di malattia e di incidenza su morbilità.

Mancano i servizi per l'autodeterminazione sulla scelta della maternità, della sessualità, dell’affettività : i pochi consultori ancora aperti (dovrebbero essere 1 a 20.000 abitanti, sono 2000 in tutta Italia con paurose carenze da nord a sud, dei pochi esistenti, molti continuano a chiudere per mancanza di personale) non si sono mai occupati (mancanza di fondi e progetti) del diritto di autodeterminazione, della contraccezione, delle malattie sessualmente trasmissibili che sono in aumento fra i giovani (e non solo l'AIDS), della sempre maggiore diversità di genere (gay,lesbiche, trasgender, queer, bisex, intersex ovvero IGBTQI), delle cause di sterilità; i reparti per maternità e le sale parto sono spesso luoghi disumani e pieni di barelle, senza alcun livello di umanizzazione e negli anni sono stati chiusi o ridotti molti punti nascita e reparti di maternità, costringendo le donne a percorrere centinaia di chilometri per raggiungere gli ospedali per partorire; i reparti per interruzione volontaria di gravidanza (legge 194/78), grazie alla possibilità delle figure sanitarie di fare obiezione di coscienza (per i medici si arriva a una media del 76% al 90%in alcune regioni e ad un 49% fra gli anestesisti, ultimamente anche i farmacisti si sono dichiarati “obiettori” rifiutandosi di vendere la pillola del giorno dopo e perfino i preservativi!!?? In Francia e Inghilterra gli obiettori fra i medici sono l’8%!)) non sono presenti neanche in tutte le regioni italiane (su 94 strutture sanitarie con reparti di ostetricia e ginecologia solo in 60 si effettuano interventi di IVG, con attese molto superiori ai 7 giorni di “ripensamento” previsto da legge e con una spesa maggiore per i sistemi sanitari che per sostituire gli obiettori devono assumere a gettone con spese di svariati milioni di euro!), il pericolo di ritornare agli aborti clandestini sta diventando una tragica realtà. Inoltre la pillola RU486 non viene offerta come alternativa e tante sono le difficoltà costruite ad arte (in alcune regioni si obbligava l’uso di ricoveri ordinari invece di attivare un diurno con l’oggettiva carenza di posti letto). E anche il boom per la “pillola di emergenza”, quella che si può prendere dopo 5 giorni dal rapporto ritenuto a rischio (da 7 mila richieste a 145 mila in tre anni con un calo del 10% di aborti medici) e senza prescrizione se si è maggiorenni, dimostra non certo che l’obiezione di coscienza non sia un problema o che non servino i reparti per IVG, ma che c’è una maggiore consapevolezza delle donne con ancora poca controinformazione e lavoro preventivo nelle scuole e nei consultori. Anche per gli aborti terapeutici, specialmente per le minorenni, ci sono enormi difficoltà e pochissime risposte sanitarie con ricoveri in reparti di ostetricia insieme alle puerpere.

Per ben due volte il Comitato europeo dei diritti sociali del consiglio d'Europa ha riconosciuto la non attuazione della legge 194, ma governi, ministero salute e regioni, non hanno preso alcun provvedimento.

Certo non possiamo non menzionare LE VIOLENZE OSTETRICHE ovvero le pratiche violente, dolorose e inutili, subite dalle donne durante il parto (taglio della vagina e del perineo, spinte sulla pancia per favorire l’espulsione, l’obbligo della posizione sdraiata, il non poter avere una persona cara vicino, somministrazione di farmaci per “velocizzare” il travaglio, la non presenza di reparti per puerpere con la separazione dal proprio figlio, ecc.) che riproduce lo stereotipo della donna che deve sacrificarsi per “diventare madre” e “partorire con dolore”!?! Inoltre bisogna evidenziare che le violenze ostetriche possono dare successivamente altri danni fisici/psichici con ricadute sulla salute sessuale e riproduttiva, sul piacere, sull’attività sessuale, sull’equilibrio psicologico e sulla stessa costruzione del rapporto madre/figli@/padre.

Concludere diventa difficile perché dobbiamo costantemente rappresentarci e rappresentare la nostra complessità come donne, imponendo, che non siamo in una situazione emergenziale dove si possa accettare di affrontare la paurosa tragedia dei femminicidi con più polizia o castrazioni chimiche, visto che abbiamo dimostrato che ci sono altre centinaia di violenze da affrontare. Dobbiamo raggiungere tutt@ la consapevolezza che OGNI FORMA DI VIOLENZA SULLE DONNE deve diventare, nella sua complessità, strumento condiviso di profonde trasformazioni concrete e culturali. Quindi anche come sindacati di base, con le nostre ricchezze e limiti e con tutte le nostre contraddizioni, dobbiamo percorrere una strada di crescita, e non soffermarci a pensare/credere di essere un bravo “compagno”, senza essere disponibili a trasformare i dati e le statistiche e la semplice “solidarietà”, in uno stravolgimento dell’attuale, tenendo ben presente nelle nostre pratiche e menti, tutte le sfaccettature dei rapporti/dimaniche donna/uomo.

 

Dati utilizzati oltre a quelli Istat:

Documenti di NUDM: tavoli lavoro, salute, educare alle differenze.

Rapporto Ombra Piattaforma Cedaw “lavori in corsa” 2016/17.

Articoli Paola Villa, Monica D’ascenzio.

Documenti Cobas Sanità Università Ricerca.

Graziella Bastelli contributo su Donne/ Lavoro..e.. molto altro.

Torino 1/10/2017

 

Info su: www.azimut-onlus.org

 

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