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SALUTE BENE COMUNE

E’ importante in questa giornata di oggi, che vede tante persone in piazza per difendere e affermare con forza la necessità dei beni comuni, liberi da ogni speculazione e logica di profitti, che sia emerso con chiarezza, attraverso la complessità di questa piazza, un tema : e cioè che quando si parla di beni comuni ( i commons appunto) non si fa riferimento solo ed esclusivamente al tema delle risorse naturali, ma anche all’istruzione, ai saperi, alla cultura, al patrimonio pubblico e i territori, oggi sempre più cementificati e saccheggiati, fino alla salute, vero e proprio bene comune, tema centrale, ricompositivo, che tiene insieme ed è interconnesso a tutti gli altri beni comuni. Di quale costruzione e tutela della salute si può parlare infatti, quando l’inquinamento dell’aria e delle falde acquifere, l’avvelenamento dei suoli, spesso nascosto ai cittadini, la cementificazione e l’erosione di spazi verdi crea città malsane, produce direttamente o indirettamente malattia (v.l’ILVA, il caso dell’abruzzo)?

E ancora, di quale salute si parla se sempre più persone, per l’effetto della crisi, dei ticket sempre più onerosi, della precarietà, quando non dell’assenza del lavoro non hanno la possibilità di accedere alle cure mediche, figuriamoci alla prevenzione.

Di quale salute parliamo se i ritmi di vita e di lavoro sono quelli di una società frenetica e votata alla produttività senza leggi, per i profitti di pochi; se la cultura della prevenzione e dell’educazione sanitaria sono ancora un miraggio lontano perché non si investe seriamente su questi settori, non immediatamente redditizi.

Di quale salute si parla se ancora oggi migliaia di persone non hanno un tetto sotto cui poter vivere, se i diritti e lo stato sociale sono erosi continuamente?

La stessa salute è diventata Il “PRODOTTO SALUTE" globalizzato e totalmente svuotato di diritti. Questo processo e’ avvenuto lentamente, ma con una tensione pressoché costante, attraverso un sistematico disinvestimento, prodotto con la formula dei tagli lineari, incapaci di evidenziare i reali sprechi, i clientelismi e le frodi; attraverso l’assoluta mancanza di un progetto sulla salute che sapesse partire dalla prevenzione e dall’educazione sanitaria per poi arrivare alla cura e infine alla riabilitazione; attraverso il leit-motiv, più recente, della crisi, dell’etica dei sacrifici, perché ce lo chiede l’Europa e ce lo confeziona l’America e l’Europa con il TTIP.

La salute è oggi sempre di più una merce, che deve creare profitto, ecco perché il sistema sanitario pubblico, una salute universale, di qualità per tutti e tutte, si comincia a dire, non è più sostenibile! E se prima , fino a qualche anno fa, il sistematico disinvestimento nella sanità pubblica, la precarizzazione del lavoro e le esternalizzazioni dei servizi erano strumenti usati per dimostrare che il pubblico non funziona, ed è più efficiente il privato, ora l’Austerity è usata per dire che una partecipazione sempre più netta ed allargata del privato nel campo assistenziale e sanitario è ineluttabile. Ma, dobbiamo chiederci, come la salute può essere per i privati e per la logica del profitto un bene comune? La salute non è un qualcosa di preconfezionato che il medico o l’operatore sanitario erogano a un’altra persona, ma è un bene che passa per una qualità di vita degna, un lavoro degno, il diritto a una casa, a un ambiente e a un territorio non devastato. Passa anche per una conoscenza delle problematiche della propria salute, per la consapevolezza che essa non può essere mercificata così come non può esserlo il corpo, perche’ abbiamo diritto all’autodeterminazione.

L’individuo come corpo è spesso ciò che garantisce la materia prima per il profitto, specialmente se accetta che il potere trasformi comuni disturbi in problemi medici, facendoli apparire come pericolosi, abusando di farmaci dei quali si esaltano i benefici e si sottostimano i rischi; quando accetta di lavorare in condizione di non sicurezza e di non tutela della salute, sotto il ricatto salute o lavoro e come mente è ciò che assorbe, facendola propria, una logica di accettazione delle trasformazioni quali che siano, perché non è possibile fare altro. Ecco che in questo modo l’individuo diventa parte “attiva” di questo smantellamento del bene comune salute e di una sanità universale.

Noi ci troviamo oggi di fronte a un sistema sanitario pubblico che sempre più disattende i suoi obblighi, le offerte di salute un sistema che continua a subire tagli lineari, a monte, chiusura di servizi territoriali, posti letto, piccoli ospedali di comunità, servizi ambulatoriali negli ospedali senza alcuna programmazione sanitaria; che finanzia unicamente la cura attraverso il sistema dei rimborsi per diagnosi, per cui spesso si favoriscono le patologie meglio rimborsate; che rivede costantemente al ribasso i livelli essenziali di assistenza (la fisioterapia, la riabilitazione, così come le cure odontoiatriche sono già fuori dal sistema sanitario nazionale e trovano posto solo nel privato); un sistema in cui si stabilisce la parità fra pubblico e privato nell’erogazione delle prestazioni; in cui si aumenta la compartecipazione dei cittadini su un’offerta in costante diminuzione; un sistema che si regge sempre più sullo sfruttamento di forza lavoro precaria, su finte partite iva che di fatto lavorano lo stesso monte ore di uno strutturato (dipendente pubblico), ma con meno tutele e maggior rischio professionale. Un sistema dove le assunzioni sono bloccate per via del blocco del turn over e che, quindi non ha rimpiazzato ne intende rimpiazzare, la larga percentuale di medici e operatori sanitari che nei prossimi 8-10 anni andrà in pensione. Un sistema dove si preferisce esternalizzare l’assistenza diretta e i servizi (mense, condutture di luce e gas, pulizie) ponendo i lavoratori in una condizione di ricatto e sfruttamento da parte delle cooperative intermediarie, che speculano sui lavoratori, piuttosto che risparmiare internalizzando il personale. Un sistema che non forma adeguatamente i suoi futuri operatori sanitari, non garantendogli adeguata professionalizzazione, organizzazione coerente dei corsi di laurea, accesso a un numero adeguato di contratti di formazione specialistica ( è di quest’anno la riduzione di 1200 unità di questi contratti!) Tutto ciò favorisce inevitabilmente e potenzia il privato ed i suoi profitti in uno scenario che in molti vorrebbero veder popolato sempre più dalle assicurazioni sanitarie private, sempre più selettive e costose. I cittadini che non si possono curano aumentano paurosamente, le categorie più fragili (bambini, anziani, migranti, gli handicap e le patologie croniche e rare) sono le più colpite, perfino nel misurarsi con la malattia… figuriamoci rispetto al diritto di prevenirla!

Allora di fronte a tutto questo noi non possiamo rimanere in silenzio! E’ il momento di ricomporre, sul tema della salute, un grande movimento di cittadinanza e degli operatori sanitari, uniti al di là delle differenze di contratto, al di là delle differenze di ruolo, consapevoli che si vince solo stando insieme e creando sensibilità e costruzione forte di un’alternativa.

E l’alternativa deve passare per una programmazione sanitaria reale, che parta dai bisogni di salute degli individui e dei territori, con il coinvolgimento attivo della popolazione alla tutela e alla costruzione del proprio bene salute. Deve passare per un rimodellamento del sistema volto a combattere i veri sprechi: dai clientelismi, ai doppi e tripli incarichi di primari ospedalieri e universitari, alle esternalizzazioni dei servizi che costano di più rispetto all’assunzione dei lavoratori come interni, gli sprechi di materiale, l'uso/abuso delle prescrizioni per evitare denunce penali. Deve passare per un lavoro dignitoso e non con contratti precari rinnovati di 4 mesi in 4 mesi, con turni di lavoro massacranti. Deve passare per una formazione che insegni ad essere medico o infermiere , a livello professionale ed umano e che non mascheri la formazione come lavoro per mandare avanti la burocrazia dei reparti, o a volte i reparti stessi (vedi gli specializzandi spesso lasciati soli a gestire il servizio nei policlinici universitari). Deve passare per l’investimento in prevenzione e in una ricerca realmente libera e indipendente, non asservita agli interessi delle case farmaceutiche, ormai quotate in borsa, che fanno solo marketing spostano l’asticella dei parametri per definire la presenza o meno di una patologia per vendere più “cura”, cioè più medicine.

(ultimo scandalo di marzo di quest’anno su due colossi mondiali del farmaco, la Roche e la Novartis, che si sono messi d’accordo per spartirsi i guadagni sulla vendita di 2 farmaci identici per la cura della vista, producendo solo quello che costa 900 euro a dose invece di 15).

Quest’alternativa siamo noi a doverla costruire, siamo noi a doverci riprendere gli ospedali e i presidi sanitari che chiudono, a dover chiedere con forza una diffusione molecolare dei presidi di salute e di assistenza integrata e polispecialistica, dobbiamo essere noi a non accettare più una sanità pubblica che non sia accessibile a tutti e davvero efficace, a non permettere più che chi ci cura sia precario e costretto a turni proibitivi di lavoro. Riprendiamoci davvero LA SALUTE COME BENE COMUNE. Questa deve essere una battaglia di tutti che entra a pieno e tocca tutti i commons, tutti i tasselli di un unico puzzle : una vita dignitosa e un vivere sociale che sia libertà di essere!

Info su: www.azimut-onlus.org

 

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